2003 novembre 30 Inter Juve
2003 novembre 30 – Inter Juve
Suo nonno vinceva premi e medaglie coltivando il radicchio variegato di Castelfranco Veneto.
Lui, 54 anni, fa il barista: Sergio De Marchi, faccia da birraio bavarese, è un “fan”, termine
inglese che sta per ammiratore fanatico di una cantante o di un attore famoso. E’ un fan fisso da
32 anni, cioè da quando facendo il militare a Rimini sentì per la prima volta in concerto Patty
Pravo.
Da allora è andato a vederla 240 volte! Duecentoquaranta spettacoli, comunque e dovunque,
raccogliendo via via foto,album,autografi,depliant,dischi,cd,cassette, tutto ciò che potesse
fermare nel tempo la traccia di Patty Pravo, voce, diva, donna e icona.
Per anni gli mancò il coraggio di avvicinarla. Una volta conosciutala di persona, il fan non le
portava fiori ma la salutava con una bottiglia di fragolino, che la cantante veneziana ama più
dello champagne.
32 anni di fedeltà, 240 concerti di tributo: perché?, gli ho chiesto tempo fa.“Una passione”, mi
ha risposto senza aggiungere sillaba.
Ogni passione popolare ha bisogno di diventare corpo e anima, un volto, una voce, un canto, un
sogno, un gol, una maglia, il personaggio che ingloba la persona, la parte per il tutto come il
seno di Marylin Monroe o le gambe di Rivaldo. Anni fa,quando a Milano arrivò Ronaldo, uno
scrittore messicano scrisse:”C’è un dio per un decennio”.
Il tifoso del calcio a troppi zeri ama coerentemente ogni iperbole, gli slogan, le “bombe” di
mercato, e i boatos più che la poesia del fragolino.E’ anche un tifoso del tutto nuovo; lo ha
cambiato la tv.
Una volta era un tifoso mistico. O andava alla messa (leggi:lo stadio) o si affidava alla parola
(leggi: giornali e radio).
Gli spettatori presenti allo stadio erano preda dell’attimo fuggente dell’azione,del gol,
dell’incidente, dell’arbitro, tutti inafferrabili come dogmi . La massa dei tifosi che restava a
casa si consegnava invece mani e piedi al racconto,letto in pagina o ascoltato al transistor come
un atto di fede.
Nessuno, né allo stadio né a casa poteva “vedere” davvero il calcio. Soltanto la televisione ha
mostrato finalmente il calcio,e prima di tutto a chi va allo stadio. E’ il paradosso dell’occhio
virtuale.
Basti ascoltare i telecronisti, sempre costretti a guardare per bene moviole, rallentatore, replay,
repliche da ogni angolazione prima di decidere i fondamentali della partita: se un gol sia valido
o no; se un fallo meriti rigore o espulsione. Il telecronista guarda ma solo la tv vede.
La tv fa il vero miracolo della scienza rendendo eterno l’attimo. Così il gol ha cessato di
fuggire: una volta poteva al massimo diventare una foto, ma non-naturale perché ferma, fissa,
senza vita. Oggi il gol è una libido permanente, vista e rivista, ciclica come un
rosario,registrabile, documentata; non un lampo che scompare, ma un’immagine da gustare a
lungo, fino alla sazietà.
Da tempo penso che il calcio televisivo sia per così dire più reale dello stesso calcio giocato.
Per questo, con il canone e/o a pagamento, è oramai impossibile immaginare che si possa
giocare un campionato senza tv: apparentemente è tutto un affare di euro, in realtà è questione
di essere o di non essere. La Tv non mostra il calcio; lo é.
Non per nulla la tv ha cambiato anche le pagine sportive dei giornali. I quali un tempo erano i
notai dei fatti mentre oggi sono soprattutto i cantieri delle opinioni, il “giorno dopo” delle
passioni a 21 pollici.
Secondo la celebre formula del giornalismo anglosassone, la notizia dovrebbe rispondere a
quattro “W”: Who?What?Where?When?, che
italiano sarebbero “ chi, che
cosa,dove,quando?”. Nel calcio dei Miti e dei Fans di massa, forse la tv si è presa le quattro W
ma senza riuscire a impedire che la parola scritta si vendichi riservandosi la quinta W, “Why?”,
perché? la tv ha fermato l’attimo e ucciso l’ignoto, ma fabbrica a più non posso infiniti
“perché”a forma di pallone.
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