2004 dicembre 19 La politica del corpo a corpo
2004 dicembre 19 – La politica del corpo a corpo
Soltanto l’apparenza è caotica. Tutto il resto appare ogni giorno più chiaro: si voterà nel 2006 nello
stesso identico clima da combattimento del 1994 o, a seconda dei gusti politici, del 1996. Sta
cambiando tutto. A cento giorni dalle elezioni regionali e a 14 mesi dalle politiche parlare di dialogo o
di confronto fa ridere i polli. Morto e sepolto ogni accenno bipartisan, cioè bipartigiano nel senso che
gli opposti schieramenti dovrebbero concordare almeno su poche cose utili a noi tutti. Tra maggioranza
e opposizione vige il corpo a corpo. Se provassimo ad appellarci in questo momento allo spirito
patriottico, non potremmo che sbattere i denti nel realismo di Indro Montanelli quando spiegava che
l’Italia è solo il rimpianto di una Patria, non la Patria. Vero padrone della piazza di fine anno è il
linguaggio. Le cose contano sempre meno, i contenuti tolgono le tende sotto la pressione del
linguaggio, del messaggio in sé, della parola calibro 44, dell’eco dei giornali e del masturbatorio
rimbombo televisivo. Che i leader siano fatti di linguaggio e che il loro linguaggio decida la politica è
l’abc degli studiosi delle grandi democrazie. Scopro quindi l’acqua calda, non fosse che noi italiani ci
facciamo sempre riconoscere. Pochi mesi fa tutti a sollazzare beati sul tocco di plastica facciale di
Silvio Berlusconi; adesso altro che lifting, ha rivoluzionato in quattro e quattr’otto i connotati del suo
linguaggio. Prima sembrava moscio, sfibrato, logorato dalla sua stessa personalizzazione a dosi da
cavallo. I ritrattisti della scorsa estate lo raffiguravano come un leader sconfitto, il dopo-Berlusconi, la
fine di un ciclo, addio all’imprenditore & politico. Lui stesso minacciava di mollare tutto e di ritornare
a figli e ville svelando un plateale senso di insopportabilità verso gli alleati, che per un po’ non chiamò
più “amici”. Tutto da rifare, questa è già roba vecchia. Come ai tempi dell’entrata in politica,
Berlusconi ha reagito scommettendo l’intera posta su Berlusconi, l’unico politico di cui si fida ; citando
Erasmo da Rotterdam ha non a caso sostenuto che in politica serve anche un po’ di follia. Nella fase più
incasinata della politica italiana, comunica con un linguaggio ridotto all’osso, aggressivo, del tipo
“arrivano i nostri”. Senza curarsi di niente e di nessuno, siano i “comunisti” di sempre o i riottosi del
suo centrodestra. Il sindaco di Firenze gli dà del venditore di tappeti, neanche una piega. Prodi
gaffeggia sui giovani “mercenari” di Forza Italia, una battuta di risposta e via. Il girotondo di Nani
Moretti lo riassume con l’aggettivo “incapace”, entra da un orecchio ed esce dall’altro come quando in
parlamento Bossi lo paragonò a Goebbels, ministro della propaganda nazista. L’offensiva del
linguaggio di Berlusconi è a tutto campo. Sceglie la politica estera per immagine. Presenta come
“storica” la diminuzione delle tasse. Liquida le ipotesi di incostituzionalità quali fatiche del riformismo.
Se la riforma della giustizia passa per la “salva Previti”, lascia che altri si sbranino: narrano le cronache
parlamentari che, sfiorando il relatore dell’opposizione, l’onorevole abbia sibilato “sei una merda”
avendo in risposta “sei un ladro”. Clemente Mastella torna a parlare di “odio” tra i suoi; la sua collega
di centrosinistra Rosy Bindi gli dà del “venduto”, cui replica con la levità di un intrascrivibile “tr…”. Il
clima è ideale e ridotto a puro linguaggio, che Berlusconi sintetizza nello sperimentato o con me o
contro di me, semmai sovraccaricato dalla caccia al voto deluso, incerto, stomacato, oppure della metà
di giovani a ragione indifferenti alla politica. Il pensatore Norberto Bobbio considerava Forza Italia “un
partito fantasma”. Di sicuro non c’è partito personale o nervosa coalizione che tenga. Torna in campo il
Berlusconi modello 1994, leader contro leader, per salvare il Paese più che per governarlo con le buone
maniere. Tutto si radicalizza al massimo perché è cambiato anche Romano Prodi. Più spigoloso nel
tratto, più ultimativo nel linguaggio del “no” , più insofferente alla mediazione all’interno del
centrosinistra, più attento al rapporto con la sinistra/sinistra detta appunto radicale. Anche lui dichiara
di voler salvare l’Italia, ma da Berlusconi. Qualunque sia il risultato, il vicino voto regionale sarà un
aperitivo, un match di avvicinamento al 2006. Per quella data sarà inutile che gli schieramenti perdano
tempo a buttar giù programmi elettorali. Oramai, il muro contro muro è fresco di malta e più alto di
prima. Il consenso popolare si farà catturare a muso durissimo dal linguaggio dei leader. Stop.
19 dicembre 2004