2004 dicembre 31 L’uomo creatura a tempo
2004 dicembre 31 – L’uomo, creatura a tempo
Credetemi sulla parola. L’“onda nel porto”, traduzione del giapponese tsunami, preme da un pezzo
anche dentro di noi pur ignari di quel significato. Il sottosuolo dell’animo umano è illimitato. Quando
furono scoperti i campi di sterminio nazisti e i siberiani gulag comunisti, l’Europa ricominciò a pensare
che “Dio è morto”. E quando, quattro anni fa, gruppi di terroristi suicidi polverizzarono le Torri
Gemelle di New York e migliaia di civili di un centinaio di nazionalità il mondo disse che nulla sarebbe
stato più come prima. Che la nostra stessa vita quotidiana sarebbe da allora cambiata. Oggi si aggiunge
qualcosa di totalmente diverso, una frattura che dalla profondità dell’Oceano Indiano piomba a galla tra
di noi anche sulle sponde più illese. In questo caso si cambia linguaggio: non diciamo mondo, diciamo
pianeta; non uomo ma natura; non più onnipotenza tecnologica e invece imprevedibilità geologica. È
bastato un solo secondo perché la frattura del fondale mettesse in moto l’energia di una sproposita
strage a distanza. È sacrosanto, perfino banale, ripetere ora come una giaculatoria del giorno dopo che
lo sviluppo va ripensato, magari secondo l’insuperata formula del “capitalismo sociale di mercato” dei
grandi liberali tedeschi e italiani dell’immediato secondo dopoguerra. Oggi quel “sociale” sta nella
pattumiera della globalizzazione. È altrettanto vero che proprio il mondo che si definisce globale
dovrebbe estendere non soltanto i mercati e il business ma anche le reti, le postazioni, i sensori, le
sentinelle della sicurezza buona per tutti i paesi. Se come nel caso dei maremoti il meglio sta nelle
Hawaii e nel Giappone bisogna pur fare qualcosa per il Bangladesh che non ha nemmeno un dollaro da
dedicarvi visto che è privo anche del dollaro per sfamarsi. È anche vero che se il turismo è una grande
risorsa economica, il simbolo di un mondo più benestante e dunque più mobile, da solo non può dettare
le regole del territorio come una nuova religione urbana. Le vittime del maremoto erano musulmane,
indù, cristiane, buddiste. Il maremoto non fa distinzioni, il turismo deve farle con un passo
precauzionale indietro piuttosto che un passo invasivo in avanti. Se non cambiamo neanche adesso, se
non sentiamo che voltandoci dall’altra parte finiamo per decretare ancora che “Dio è morto”, allora
davvero si mette male. La natura farà il suo, l’uomo non farà la sua parte. La notizia più clamorosa di
questi ultimi mesi è che i potentissimi Lloyd di Londra, i re delle assicurazioni mondiali, si sono alleati
con gli ambientalisti! E lo scienziato della Nasa e fisico della Columbia University di New York, prof.
Vittorio Canuto, intervistato dal settimanale “L’Espresso” in questi giorni in edicola, ha dimostrato –
sottolineo prima dello tsunami – che l’ambiente è in preda a epocali cambiamenti climatici dovuti
all’effetto serra. E la prestigiosa rivista scientifica “Science” ha portato l’esempio degli eschimesi che
nella loro lingua ignoravano da sempre i termini corrispondenti ai passeri e ai salici perché mai esistiti
tra loro. Adesso gli eschimesi hanno dovuto inventare due parole ex novo visto che i passeri arrivano e
che i salici crescono. Ma a questo punto dobbiamo dimenticarci dell’uomo. Cioè uscire dall’idea, un
po’ illuministica un po’ onnipotente un po’ utopica, che l’uomo possa tutto e via via organizzare un
mondo perfetto, sicuro per tutti, pacifico, dedito al lavoro quanto ai piaceri della vita. Non è così, non
lo sarà mai. Il traguardo sembra sempre più alla portata, in realtà mantiene sempre la distanza. Ciò non
deprime il fare e meno che meno il dover fare; lo rende più umano, più gratuito, più consapevole. Il
progresso è un nobilissimo destino se si conosce la sua precarietà: i contadini che in un lampo di
grandine vedono distrutta un’intera stagione di lavoro ma ricominciavano sempre da capo sono gli
unici veri filosofi del nostro tempo. Il pensiero dominante che giunge dalla immane frattura
sottomarina della Terra in pieno Oceano Indiano è questo. Noi siamo creature capaci di costruire
Atomiche di non so quale potenza ma alla fine siamo niente, zero, ospiti provvisori, fuscelli, un soffio
di Superuomo ridicolizzato dallo tsunami di turno. Alla tragedia tuttora in corso sono stati attribuiti
significati addirittura “politici”. Da parte mia ne traggo soprattutto una parabola dimenticata dall’uomo
contemporaneo. Quella frattura torna a parlarci come la Bibbia. Siamo creature a tempo, e il tempo ci è
ignoto.
31 dicembre 2004