2004 febbraio 23 Roma
2004 febbraio 23 – Roma
La Roma potrebbe vincere meritatamente lo scudetto e, altrettanto meritatamente, finire un mese
dopo in serie B. Non é una battuta né un paradosso; è la pura e semplice contabilità di un club che,
giocando da Dio e godendo di una buona campagna acquisti, ha fatto però 200 miliardi di lire di
debiti in una sola annata e che “non paga l’Irpef” come accusa e dimostra il presidente del Bologna
Giuseppe Gazzoni Frascara, 68 anni, uno dei pochi dirigenti con la testa sul collo.
La Roma non é la sola a dribblare le regole. La Lazio sta peggio e , anzi, bilancio alla mano doveva
già essere esclusa dalla serie A, mentre altri sette club rischieranno presto come Roma e Lazio.
Facendo i conti in tasca alle società, risultano per ora apposto soltanto in quattro, la Juve tra le
grandi, Empoli, Chievo e Reggina tra le piccole. E il Parma potrebbe essere messo addirittura in
liquidazione.
Non che le Spa che producono calcio siano la stessa cosa della Parmalat, ma su un punto le
assomigliano molto: ciò che appare é quasi tutto falso. Sarebbe troppo bello se nel 2004 ci fosse un
pubblico ministero di quelli che dico io oppure una Corte Federale davvero indipendente disposti a
far applicare al 100% le leggi fiscali, le norme di bilancio e i vincoli di Borsa anche a costo di
infliggere la retrocessione in B ad almeno mezza serie A. Non morirebbe nessuno e si ritornerebbe
alla decenza amministrativa nel giro di qualche anno.
Il pallone é ormai sgonfio anche quando s’infila tra gli applausi all’incrocio dei pali. I giocatori e i
tifosi, invece di illudersi di passarla anche questa volta liscia, dovrebbero fare il tifo per un
intervento radicale.
Alla lunga, il professionismo non reggerà con i soli gol sull’orlo del fallimento. Senza un salutare
choc finanziario nessuno rifonderà il calcio, tanto meno gli spudorati decreti governativi che
premiano e condonano i dissipatori, i megalomani, i finti tonti, gli sconsiderati, gli indebitati, le
volpi da pollaio, i trafficanti, gli artisti del falso in bilancio, insomma i troppi eterni “ricchi scemi”
del calcio.
Tanti anni fa, nello scrivere la storia della Volkswagen per la rivista Automondo, diedi conto della
filosofia del mitico direttore generale Heinrich Nordhoff secondo il quale “Un uomo educato é
sicuro di una cosa sola: sa di poter sbagliare.” Non é per niente educato il nostro calcio presuntuoso,
che persevera nei cronici errori arciconvinto, al contrario dell’ingegner Nordhoff, di non sbagliare
mai.
Forse i tifosi si auto-convincono che i bilanci siano soltanto una variabile impazzita del calcio e che
non c’entrino nulla con le partite e con i risultati. Al contrario, tutto si tiene.
Se una società s’indebita confidando nell’omertà dei controlli. Se ritarda sistematicamente il
pagamento degli stipendi. Se evita di pagare l’Irpef oppure di versare i contributi all’Enpals, é
chiaro che avrà più risorse ma illegittime sul mercato, potrà dunque acquistare giocatori che un club
che rispetti le regole non si potrebbe mai permettere.
Chi sgarra fa sleale concorrenza. In altre parole, la differenza tra una squadra più o meno forte passa
attraverso il bilancio: i gol non sono soltanto un fatto tecnico o tattico. Prima nascono in campagna
acquisti, per “doping amministrativo” come lo chiamò la Juve.
Anche al capitalismo del pallone serve un anno tutto nuovo.