2004 ottobre 25 Del Piero

2004 ottobre 25 – Del Piero

Quando la classe di Alessandro Del Piero affrescava il campo, Gianni Agnelli lo paragonò al pittore
perugino Pinturicchio. Quando poi lo vide troppo a lungo svuotato di energie, si rifece al teatro di
un grande scrittore irlandese e lo ribattezzò Godot, il personaggio sempre atteso che non arriverà
mai. Nel bene e nel male casa Agnelli ha sempre scomodato per il suo talento simpatiche allusioni
artistiche.
Il campione trevigiano, nato a San Vendemiano tra allegri profumi di prosecco e virili sapori di
soppressa, svezzato a Padova per il calcio di copertina e prescelto infine dalla Juventus come
giocatore-bandiera alla Boniperti o alla Bettega, vive da qualche anno una gloria ondulatoria , tra
luce intermittente e penombra, infortuni e forma fisica, dolori personali come la perdita del padre
Gino e gol firmati, devozione popolare e fischi di ripudio. L’altra sera a Siena, dopo i suoi due gol e
mezzo, Del Piero ha sorriso con una sola basetta:” Capello dice che si cresce anche coi fischi? Con
gli applausi è meglio.”
Tra una quindicina di giorni compie trent’anni, contrattualmente si é legato alla Juve fino al 2008
quando ne avrà trentaquattro. Oggi fa il capitano della squadra, domani sarà il testimonial da
calciatore in carriera dirigenziale.
A parte i cinque milioni di euro di stipendio all’anno, i surplus di coppa, gli sponsor eccetera, i
diritti di immagine ceduti al club bianconero valgono da soli più di due milioni di euro. Il passero
dello spot televisivo gli si poserà a lungo sulla spalla dato che, nella peggiore delle ipotesi, Del
Piero sarà pur sempre Godot, l’atteso, il campione che inganna lasciando confondere alba e
tramonto.
I giornalisti lo hanno a lungo cantato come un inno al bel calcio; giornalisti lo hanno spesso
raccontato come un definitivo congedo dall’albo dei protagonisti. A volte sarebbe più coraggiosa la
prudenza critica, ma il nostro mestiere è sempre imprudente. Tanto vale, secondo la contagiosa
filosofia di Aldo Biscardi, darci dentro applaudendo e/o fischiando senza farla tanto lunga.
L’Alex degli striscioni di stadio ha retto bene. Perfino quando il cane sciolto Zdenek Zeman, buon
tecnico nato a Praga e stanziale in Italia, trovò qualche anno fa strana l’aggressività della Juve e
dubitò farmacologicamente della muscolatura di Vialli e Del Piero appunto, tanto da innescare un
delicatissimo processo presto a sentenza.
Del Piero ha retto bene anche se stroncature mediatiche e fischi del pubblico pagante si sono un po’
scordati, ad esempio, che nel solo 2003 sommò cinque mesi di infortuni. Lui si è detto infastidito,
mai piegato, con una precisazione di nerbo:” Passi per le critiche ma dalle mie parti si dice ‘Bon,
bon passa par cojòn’…”
Una cosa è certa. Il “cocco di mamma Juve” non esiste più. Anche un leader come lui, quinto
goleador juventino di tutti i tempi dopo Boniperti, Sivori, John Hansen e farfallino Borel, sa che
questo non è più il tempo del posto fisso. Nemmeno nel calcio, nemmeno per le bandiere: la forma
non la carriera funziona da unità di misura. E se perdi qualche colpo di troppo “non sei più quello di
prima”, per dirla con la franchezza di Platini.
Alessandro Del Piero sostiene che il campione è un terzo carattere, un terzo fortuna, un terzo
qualità. A Siena, sublime città d’arte, sembra ritrovata la sua formula contro il crepuscolo.