1990 dicembre 23 Le tre cose da dire
1990 dicembre 23 – Le tre cose da dire
Sarà per la suggestione dei bilanci di fine anno; sarà per la confusione e i cento
depistaggi della politica italiana: fatto sta che si sente la necessità di ribadire anche
cose apparentemente scontate. Andreotti lo ha fatto, e non è stato un esercizio
inutile.
Come quando ricorda che il debito pubblico ci fa pagare ogni giorno 300 miliardi
di lire soltanto in interessi e che peraltro il nerbo dell’economia è rappresentato dai
medi operatori, quelli che garantiscono l’80% delle nostre esportazioni. Nel
leggere assieme questi due dati dissociati, tocchiamo con mano i pesi dello Stato e
la vitalità di un Paese, il grado della crescita e le persistenza dei freni. Poiché tutto
si lega, alla fine è il livello di giustizia sociale ad uscirne vulnerato, il lavoro a
risultare penalizzato.
«Cifre che spaventano» riguardano anche quella giustizia che determina la certezza
dei diritti, la sicurezza, l’essenziale confine tra legge e impunità. Il «gioco del
cerino acceso» sembra deresponsabilizzare a turno governo, magistratura, opinione
pubblica, quando proprio qui si misurano invece la credibilità e le garanzie di una
società ordinata.
Se alcune regioni meridionali d’Italia rappresentano oramai un’emergenza
europea, un fenomeno esteso a tutto il territorio nazionale richiede molto di più di
quanto possa dare da solo un qualsiasi governo: ci riferiamo alla saldatura tra
piccola e grande criminalità; alle scarse risorse destinate all’attività investigativa
sui flussi di denaro; all’intervento delle forze dell’ordine vergognosamente reso
vano da norme che – pur appellandosi alla retorica progressista – finiscono con il
piegare clamorosamente ogni valore sociale a un nuovo individualismo di massa.
Ancora una volta tutto si lega, se intendiamo le Istituzioni come un patrimonio dei
cittadini non come un bottino per bande. Su Gladio ci si attendeva da Andreotti un
affondo, non un dribbling: e Andreotti non ha deluso. Il Presidente del Consiglio
ha parlato come un Presidente della Repubblica fuori dalla mischia, avallando cose
importanti: che la magistratura fa bene a indagare; che con la magistratura si deve
collaborare; che se un apparato legittimo «è uscito fuori dal seminato» bisogna
precisare e colpire, anche perché in Italia è tutto più «duro» sullo sfondo di tante
stragi impunite.
Tra chi specula e chi occulta, mai come ora si avverte il bisogno di lucidità.