Andrea Zanzotto – Giorgio Lago, Corriere del Veneto (2005)

Giorgio Lago

“Giorgio Lago mi ha telefonato due settimane fa. La voce era quella di un uomo stanco. Le idee e le
parole, no. Anzi. Avevano un suono vitale. Mi ha citato il passaggio di un mio libro, Sull’altopiano.
Lo aveva riletto in ospedale, con grande attenzione critica. Un’immagin e e un concetto lo colpirono
profondamente. E cioè quando descrivo la sensazione di abitare in un pianeta di muschio, che porta
sulle spalle il peso di milioni di anni. Storie, vite, luoghi. E poi muschio. All’infinito. Giorgio mi
chiese, dolcemente: Andre a, rivedrò mai il muschio in Veneto?”.
Andrea sta per Zanzotto. Il poeta è commosso. Parla lentamente. E se rompe il silenzio
confessa
è solo perché Giorgio sarebbe contento di questa conversazione da terza pagina. No, non su di lui.
Precisa: “Il dolor e è un fatto intimo, un cumulo di ricordi che si rintana da qualche parte”.
In Zanzotto, sicuramente nei pressi del cuore. Così il poeta racconta e riflette sul Nord Est di Giorgio,
“un territorio sempre più sporco per un uomo e un giornalista pulito” o sull’eredità culturale che lascia,
“un vuoto difficile da colmare, non vedo degni eredi in giro”. Infine, c’è la sua lezione a futura
memoria, soprattutto per i giovani che si affacciano al giornalismo: “Libertà e indipendenza, così non
si sbaglia mai, ri peteva fino alla nausea Giorgio”.
Maestro, chi è Giorgio Lago?


Un cittadino veneto moderno e un giornalista pulito. Un uomo non contaminato in un territorio
sempre più sporco. E con sporcizia non intendo solo quella visibile, puzzolente, che deturpa il
p assaggio, ma anche quella morale che inquina gli animi e avvelena le coscienze. Un uomo di grande
dignità, con un fondo di conservazione delle tradizioni che si è sempre tenuto e ha espresso
pubblicamente, con passo sicuro, rispetto alla tracotante innovaz ione che ha investito il Veneto. Vorrei
aggiungere…”.
Prego.
“Vorrei aggiungere una nota sul suo carattere. Di questo uomo, colpisce l’umanità e l’abilità. La sua
disponibilità al confronto, al dibattito, sono come connaturate e direttamente proporzional i alla sua
maestria. Giorgio è eclettico. Pensa e scrive di sport, politica, economia, letteratura, poesia. La sua
agenda è un trattato di relazioni pubbliche. Centinaia di nomi, numeri di telefono, riferimenti,
informazioni. E’ un direttore all’antica, ca pace d’intervenire su ogni pagina del suo Gazzettino, il
giornale che più ha amato, con idee, suggerimenti, proposte. Tutto all’insegna del rigore e
dell’originalità. Vede, parlo di lui al presente, come se fosse qui ad ascoltarci”.
Adesso c’è un’eredità c
ulturale da raccogliere. La sua.
“Non vorrei sembrarle pessimista ma in tutta onestà, non vedo degni eredi in giro. Almeno, non con
la sua autonomia professionale. Certo, restano i suoi articoli, i suoi interventi. Quelli sì rappresentano
un patrimonio col lettivo, soprattutto per chi fa questo mestiere e per i giovani che si affacciano al
giornalismo. Con un’avvertenza però, avrebbe ammonito Giorgio: quando si scrive, occorre libertà e
indipendenza. Sempre. Così, non si sbaglia. Mai”.
Parliamo di politica.
La Lega prima maniera, il movimento dei sindaci a Nord Est, il federalismo, il
boom economico, il Veneto ogni giorno alla Tv, i dibattiti a livello nazionale. Sono gli anni d’oro di
Giorgio?
“Indubbiamente, dal 1984, l’anno in cui assume la direzione del G
azzettino, al 1966, Giorgio è al
centro della sua parabola professionale. Lo stesso periodo d’oro del Nord Est. Un percorso che Giorgio
ha compiuto sino alla fine. Ogni suo articolo, dall’editoriale sulle metamorfosi del Nord Est al
commento sulla partita di calcio, è l’espressione di un giornalismo di idee, supportato dai fatti. Sapeva
toccare tasti ineludibili, affrontando temi diversi ma dal fortissimo senso civico, nell’interesse della
comunità e dei cittadini, fino alla collaborazione con il gruppo l’ E spresso. Quanto alla politica,
Giorgio l’ha sempre trattata con distacco. Sì, prese parte alla stagione del movimento dei sindaci,
dall’interno. Ma per raccontarla meglio, senza filtri, senza troppe mediazioni”.
In molti, da destra al centro a sinistra, lo
corteggiarono, chiedendogli più volte di candidarsi.
“E’ vero. Ma non si lasciò mai incantare da queste sirene. In politica, mi ha confessato più volte,
avvertiva il pericolo di diventare schiavi di qualcuno. Se ci rifletto, questo è lo stesso pensiero di
David Maria Turoldo, un nostro fraterno e comune amico scomparso con il quale Giorgio e io
abbiamo trascorso insieme giornate indimenticabili. Ecco, Giorgio, David Maria, sono uomini liberi.
Io, da oggi, lo sono molto meno. Il dolore per la scomparsa di G iorgio, è come una gabbia”.

di Andrea Zanzotto