Gruppo Espresso – Da cronista a direttore fortemente innovativo (2005)

Da cronista a direttore fortemente innovativo a editorialista per il gruppo Espresso e il nostro giornale

Primo settembre 1963: è questa la data storica in cui Giorgio Lago, morto ieri dopo lunga malattia, originario di Vazzola, ma appena sbarcato a Milano lasciandosi alle spalle Castelfranco, inizia la carriera giornalistica. Un giorno che coincide con il suo ventiseiesimo compleanno, ma che deve trascorrere nella redazione del settimanale meneghino Super-sport, davanti a un televisore per seguire i campionati mondiali di ciclismo in Belgio. Alla fine, il direttore gli fa scrivere 30 righe, firmandogli poi l’articolo con il nome di Herbert Fuerst. Perché allora non è concesso agli ultimi arrivati firmare i pezzi con i loro nomi, tant’è che nel primissimo articolo di prova scritto da Lago lo stesso direttore gli mette in calce “George von See”: una sua personale interpretazione e traduzione di “Giorgio del Lago” che alla fine diventa “Giorgio del Mare”.

Fino a quel momento non ha mai pensato di diventare un giornalista, piuttosto lo attira l’esperienza politica: ricopre, infatti, la carica di segretario dei Giovani Liberali di Castelfranco. “Ero un liberale radicale, di sinistra, quello che oggi verrebbe chiamato liberal”, raccontava Lago in un’intervista di qualche anno fa. Ma ormai grazie a un interessamento del fratello Sauro, che nel 1963 durante una vacanza al mare gli presenta, appunto, il numero uno di Supersport, ha intrapreso la via della carta stampata. Il suo primo importante incarico è seguire direttamente allo stadio di San Siro la partita Inter-Atalanta. A fare la cronaca scritta, in fondo, di quella che è anche la sua squadra del cuore, della sua amata Inter. Il mestiere gli riesce bene, i giornali se ne accorgono, lo corteggiano e alla fine sceglie di passare alla testata Tuttosport, rimanendo in totale a Milano sei anni. «Io sono fatto di due cose – diceva sempre – del liceo Canova di Treviso e dei sei anni trascorsi a Milano: anni che mi hanno insegnato tutto. Allora c’erano due scuole di giornalismo sportivo: quella padana di Gianni Brera e quella napoletana di Gino Palumbo. La prima era tecnica, la seconda più patriottarda, anima e core. Mi dicevano che io ero a metà strada». Alla pratica giornalistica, intato, affianca lo studio del pensiero politico di Pietro Gobetti e Benedetto Croce.

Il 1968 è l’anno del rientro in Veneto, sulla spinta anche del fresco matrimonio con Emina Chiavacci, che gli darà i figli Paolo e Francesco. Al ritorno dal capoluogo lombardo la meta che lo aspetta è il Gazzettino, dove prende naturalmente posto tra le file dello sport. Sono gli anni in cui il padre, per tutti il cavalier Abele Lago, è segretario comunale a Castelfranco. Lago, nel frattempo, giorno dopo giorno scala la redazione sportiva del quotidiano veneziano, fino ad assumere il ruolo di caporedattore. In tutta la sua carriera seguirà da inviato 11 mondiali di calcio: nel 1966, dall’Inghilterra (ancora come collaboratore), scriverà l’articolo più lungo apparso sulle pagine del Gazzettino per tale tipo di evento. Memorabile, proprio nel ruolo di inviato, un suo errore, a cui però rimedia con uno stile talmente sopraffino che, alla pari, consegna l’episodio agli archivi giornalistici. Inviato a seguire il derby Treviso Padova, il 15 maggio del 1976, commette l’errore di fissare il risultato in 2-0, mentre la partita in realtà è finita 1-0. Lago, il giorno dopo, scrive un corsivo dal titolo: «Hos egnato io il gol di De Bernardi». Un colpo di pennello, più che di penna, che ancora una volta fa emergere le sue doti. Al Gazzettino se ne accorsero puntualmente, tanto che nel 1984 gli offrono la direzione del giornale. Lui, spirito libero, tentenna: l’idea di dover mettersi al timone di un giornale di partito, nel caso specifico sotto l’insegna della Democrazia Cristiana, più che non attirarlo lo preoccupa. Ma dietro l’angolo c’è lo scandalo P2 e del Banco Ambrosiano. Un brutto colpo per la politica, in cui Lago però intravede lo spazio necessario per una direzione a modo suo, svincolata da padroni. Accetta l’incarico e diventa il nuovo direttore del quotidiano lagunare, prendendo il posto di Gustavo Selva. Nel frattempo, in lui prende sempre più coscienza la necessità di approfondire la questione dell’identità veneta, della quale diventerà uno dei massimi studiosi e divulgatori. Un’attenzione per il territorio locale, seppur dentro grandi confini, che Lago conferma nell’editoriale d’insediamento: «Pluriregionale per vocazione – scrive – il giornale sarà sempre più impegnato a ogni livello nell’interpretare, in termini di spazio e di attenzione, la cultura veneta, friulana e trentina». Che per lui soprattutto significa Nord-Est, uno dei primi a individuarne il perimetro sociale, culturale ed economico e i suoi contenuti. E proprio sotto la sua direzione, nel 1989, che il giornale abbandona la testata Regione e introduce, appunto, la Nordest. Linee editoriali che su di lui fanno cadere un sospetto: viene visto come un sostenitore della Lega, anche a causa della sua completa adesione al federalismo. Ma tutte le volte sulla questione ha precisato: «Addirittura mi chiamavano Giorgio Liga, ma io ho sempre e solo sostenuto chi rompeva i vecchi sistemi». In ogni caso la guida del Gazzettino è saldamente nelle sue mani. Non è in discussione neppure se Piergiorgio Coin, azionista, confida a un amico di Lago: «Da noi i direttori durano al massimo quattro anni, poi li cambiamo». Invece anche in questo il giornalista castellano sarà un’eccezione: rimarrà al vertice della testata fino al 1996 (‘anno della sua pensione, dell’avversione a Berlusconi e del conseguente rifiuto di virare il giornale verso il centro-destra), facendo salire in questo arco di tempo la tiratura da 95 mila a 143 mila copie. Il 1996 è anche l’anno in cui scrive a quattro mani con Neri Pozza il libro Nordest chiama Italia, a cui seguiranno altre pubblicazioni sulla società veneta.

Ma il futuro ha in serbo un’altra importante novità per lui: il Gruppo Espresso gli propone di diventare opinionista delle proprie testate, da Repubblica alle testate locali. Interventi che spazieranno ovunque, dallo sport alla politica, dalla cultura all’economia, e che puntualmente verranno gratificati dalla corrispondenza dei lettori. Gli stessi lettori che con lui hanno spesso occasione di chiacchierare viso a viso, magari incontrandolo in piazza Giorgione a Castelfranco, mentre sceso dal suo appartamento sta andando al Caffè di Mezzo, suo locale preferito. Anche la politica lo corteggia, al punto che si fa il suo nome come possibile candidato a sindaco di Venezia o in lista per fare l’onorevole. Invece, nonostante l’amore per la politica, preferisce sondare sempre più a fondo il tema dell’identità veneta, dalle origini fino al fenomeno Nord-est, analizzando le relazioni che intercorrono fra questi due momenti storici. Entra a far parte di un progetto avviato dalla Regione e dalla casa editrice Marsilio, assieme al docente universitario Ulderico Bernardi e all’architetto asolano Manlio Brusatin. Quest’ultimo, fra l’altro, legato da intima amicizia con Lago. A turno tengono conferenze in teatri e sale culturali di città venete, sempre con l’obiettivo di ripercorre il teorema che sta alla base del “sentirsi veneto”. Un tema che ben presto Lago “esporterà” in tutta Italia. E fra un dibattito e l’altro la presenza nelle giurie di premi letterali, giornalistici e fotografici. Ma più spesso, però, è lui a ricevere i premi: nel 1999 l’associazione Amici di Luigino De Nadai lo scomparso giornalista della Tribuna) gli conferisce un riconoscimento come «brillante interprete del fenomeno sportivo e dell’identità veneta» e nel 2000 riceve il premio alla carriera dall’Ordine dei giornalisti del Veneto: Poi il riconoscimento Cortina terzo millennio e nel 2001 il premio vicentino Il Veneto e l’informazione, seguiti dal Premio della cultura 2003 al Teatro Verdi di Padova. Sempre nel 2003 gli vengono conferiti il premio culturale Noventa Pascutto, a San Stino di Livenza, e il Radicchio d’oro, istituito dai ristoratori trevigiani. Dello stesso anno il Giorgione d’oro come miglior giornalista sportivo del Trevigiano. Nel 2004 viene perfino insignito del riconoscimento Padovani eccellenti, in quanto la città patavina lo considera «padovano d’adozione»: poi il premio alla carriera da parte del gruppo veneto dell’Unione stampa sportiva italiana. Davvero sempre una vita in prima fila la sua, e per questo senza mai rinunciare ai propri ideali. Qualche mese fa durante una discussione fra amici, di colpo Lago aveva aperto il portafoglio e aveva estratto una tessera: era quella della sua iscrizione al Partito Liberale, di quando era poco più che un ragazzino. Non aveva mai voluto liberarsene e non lo ha fatto mai. Come non lo ha fatto con la tessera di giornalista.