Ilvo Diamanti – Prefazione inguaribile riformista (2007)
I suoi commenti e le sue analisi sono ancora attuali
Rileggere i commenti scritti da Giorgio Lago in questa «collezione» ragionata, trasmette una sensazione singolare. Sembra di averlo lì davanti, che ti parla, animatamente. I larghi cenni del braccio, la mano che ravvia i capelli, ritmicamente. La voce forte. Ti guardava sempre dritto negli occhi e non aveva dubbi. O meglio: era tollerante, un liberale vero, ma sulle idee non aveva incertezze. Quanto diverso da me… Io per scrivere devo sentirmi «fuori», un osservatore. Anche quando sono coinvolto. Devo guardare senza essere visto. Nascondere i sentimenti e le emozioni. E poi ho tanti dubbi. Li coltivo con cura. Perché considero lo scetticismo anzitutto una buona tecnica di analisi. Per cui, anche se per molti anni ci siamo incrociati (stessi temi, stessi luoghi…), abbiamo sempre mantenuto-con cura-questa distanza, questa differenza. Serviva a entrambi.
Però, confesso, rileggere (e talora leggere per la prima volta) questi articoli, puntuali e puntuti, questi commenti, sempre privi di reticenze, emoziona un po’. Ripeto: ti pare di averlo lì di fronte. Anzitutto per la scrittura. Rapida, sincopata, la continua ricerca della parola giusta, del neologismo piazzato nel punto esatto. Esattamente come quando parlava. Se non temessi di offendere qualcuno, direi che un poco mi ci riconosco. Anche a me piace scrivere «ascoltandomi». Solo che uso in modo -diciamo più disinvolto la sintassi e soprattutto la punteggiatura. Giorgio, qualche volta, me lo faceva notare. In modo più spiritoso di altri, magari («Sai, ci sono anche le virgole, i punti-e-virgola…). Però, è raro trovare un giornalista capace di scrivere in modo tanto incisivo. Diretto e veloce. Mi viene in mente Montanelli, se dovessi cerca un ante litteram.
Ti pare di averlo lì davanti, Giorgio, mentre ti parla, anche perché i temi che affronta, nei suoi articoli, sono ancora tutti aperti. E i suoi commenti, le sue analisi, sono ancora attuali. Colpa della realtà e merito suo. Perché da un lato c’è difficoltà nel nostro Paese, nella nostra regione, a risolvere le questioni annose. Perché, dall’altro, Lago ha sempre avuto la capacità di anticipare i temi, di isolare i punti critici del nostro sistema. Infine, perché è stato non solo un giornalista, ma un «ideologo» e un «militante», apertamente schierato, su progetti e posizioni ancora all’ordine del giorno (purtroppo, ci vien da dire). Il federalismo, il Nordest, questione settentrionale, le riforme della classe dirigente, la piccola impresa, come valore oltre che come entità economica e sociale. I chiodi, su cui ha sempre battuto, in modo continuo, ritmico, senza stancarsi mai. Fino in fondo, fino all’ultimo. Era, in particolare, un «partigiano del federalismo», in nome del quale sarebbe stato disposto ad andare sulle colline, fucile in spalla, a combattere (così disse a Gian Antonio Stella, che lo intervistava per il Corriere della Sera). Capace di intrattenere rapporti con figure diverse e lontane, per ragioni politiche. Ma che egli riteneva, comunque, complici del suo disegno. Mario Carraro, Pietro Marzotto, Nicola Tognana, Giuseppe Covre, Maurizio Fistarol; e ancora, Franco Rocchetta, Fabrizio Comencini; Giancarlo Galan e Massimo Cacciari. Tornano, puntuali, nei suoi articoli. Chiamati in causa, talora, in modo diretto. Quando Lago usava gli articoli come forma di dialogo pubblico. I suoi articoli contribuiscono a ricostruire l’epopea del Nordest la formula è sua; echeggiava, volutamente, il West americano); di quella (questa) parte del Paese, divenuta negli ultimi vent’anni luogo esemplare del «capitalismo dell’uomo qualunque», della rivendicazione autonomista, della domanda di federalismo e di indipendenza. Anche grazie a lui, ai suoi articoli, alla sua «opera» editoriale, prima da direttore, sul «Gazzettino», poi sui giornali del gruppo L’Espresso. Ne accompagnano e sostengono l’emergere, ne scandiscono i passaggi, le battute d’arresto, le difficoltà. Come quando, nel 1998, lamentava che: «il Veneto non dà più noie al Parlamento, non è più un “caso” nazionale: dopo aver ringhiato come un lupo pedemontano, ora fa le fusa come un soriano salottiero. In qualche modo, torna a essere doroteo, si fa gli affari suoi relegando la politica al ruolo di nicchia per addetti. Rispunta il lobbismo di partito, ristagna l’autonomia di governo (…). Ha smesso di credere che scegliere significhi contare qualcosa, meno che meno cambiare».
Lo diceva, ovviamente, senza rassegnarsi. Come ammonimento, ribellione. Temeva, Lago, il ritorno alla «normalità». La normalizzazione mascherata. Le finte riforme, dissimulate in modo nominalistico. La devolution, di cui bisognava parlare: «lasciando per un momento in santa pace il federalismo con la F maiuscola» (2003). E temeva, al momento stesso, forse di più, il «nemico interno». Il cambiamento genetico, che modifica le caratteristiche dello sviluppo del Veneto e del Nordest. Le premesse dell’economia, ma soprattutto dell’ambiente, della società. La perdita di memoria. Nel 2002, commentando (criticamente) i risultati di una (mia) indagine (Osservatorio Nordest) pubblicata sul «Gazzettino», che rilevava il malessere generato dall’impatto sociale dello sviluppo, osservava, icastico: «Dicono che il Nordest sia “stanco”. Mi viene da commentare: si riposi: poi vediamo come va a finire». Perché, aggiungeva, «in quarant’anni l’intero Nordest ha ricuperato secoli non decenni, e ci è riuscito disponendo di una sola corrente elettrica: il lavoro. Lavoro, lavoro e ancora lavoro». Ecco: se è vero che, a leggere queste pagine, ti pare che Giorgio Lago sia ancora qui, è altrettanto vero, però, che lui non c’è più. Purtroppo. E anche di questo ci accorgiamo. Perché non ci sono altri che abbiano raccolto la sua eredità. La sua professione di fede, sincera e coerente, in nome del Nordest. Giornalista, analista, polemista e parmigiano. gi che il Nordest, il Veneto, continuano ad apparire «lontani» da Roma, oggi che le imprese continuano a marciare come locomotive e la gente sembra, comunque, più stanca di prima. Oggi, manca la sua voce di testimone della nostra epoca. La sua capacità di narrare l’epopea del Nordest. Gli eroi e le comparse, i primi e gli ultimi. La fatica, il lavoro, gli immigrati. I politici e gli amministratori. Facendoli, magari, migliori di quanto non siano nella realtà. Trasferendo trasfigurando verità e desiderio, per amore di questa terra. Per cui, nonostante questa parte del Paese sia stata eletta di nuovo a piazza di ogni protesta, nonostante le telecamere siano rivolte, costantemente, in questa direzione, tutto ciò che avviene a Nordest di Roma, oggi, ci sembra sfocato e roco. Il volto indefinito, la voce incerta. Però è bello rileggere queste pagine; questa “collezione” di articoli. Di cui sono grato. A Paolo Possamai, che l’ha composta, con passione e competenza. Ma soprattutto sono riconoscente a Carlo Caracciolo, editore libero, innovativo e generoso (come pochi altri in Italia), che ha voluto questo libro. Anche se leggere questi articoli suscita un po’ di nostalgia: Ma, in fondo, anche la nostalgia aiuta. Perché del passato isola e valorizza i ricordi migliori. Giorgio Lago, certamente, appartiene a questi. A me nostalgia di lui ci aiuta.
di Ilvo Diamanti