Giuseppe Zaccaria – La voce di un Nordest esigente (2015)

Giuseppe Zaccaria dal 2009 al 2015 Rettore dell’Università di Padova

“Chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore”, spiegò un giorno Indro Montanelli a un gruppo di ragazzi che gli avevano chiesto di parlar loro della professione. Giorgio Lago, che a Montanelli era legato da reciproca stima ed amicizia, aveva acquisito questa lezione fin dal precoce esordio in un percorso che l’avrebbe condotto a diventare una delle voci più autorevoli del giornalismo italiano, e anche uno dei protagonisti centrali del Nordest nel passaggio tra secondo e terzo millennio. Nei servizi curati da inviato, nella lunga stagione da direttore, nella fase successiva da editorialista, ha fatto di questo credo − che tuttavia non significa certo acquiescenza alla “pancia” dell’opinione pubblica − una prassi quotidiana, nella forma come nei contenuti: incisivo, sferzante, propositivo, mai rivolto al Palazzo ma al lettore. “Mi hanno cambiato i lettori”, ha scritto significativamente nel fondo con cui si è congedato dalla guida del Gazzettino, dopo dodici intensi anni iniziati a partire da un’esperienza nel settore dello sport, e vissuti da testimone di una società che in quella stagione è cambiata drasticamente. Chiaro nel linguaggio, esplicito nella sostanza: mai ripiegato sulla polemica gratuita e fine a se stessa, sempre volto a sollecitare le energie migliori della politica, dell’economia, del cittadino. Ci sono anniversari che non rischiano mai di diventare una consuetudine. E questo accade quando ci si dedica non a commemorare una persona, quasi come in un rito obbligato, ma a riviverne insieme la testimonianza, l’impegno civile, la lezione di vita. È questa una riflessione tanto più vera in una ricorrenza come quella attuale, a dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Lago. Dieci anni: sono davvero tanti, in una temperie come quella attuale, in cui l’accelerazione degli eventi determina cambiamenti profondi e incessanti, e fa rapidamente sbiadire tutto ciò che non è sostanza. Se a distanza di tanto tempo la sua figura rimane per tutti noi così vivida nel ricordo, ciò significa che il segno che ha lasciato è stato davvero indelebile; e che ricordarlo oggi non è un rito ripetitivo, ma un gesto che nasce dal profondo. Lo dico in una duplice veste: come Rettore di un’università alla quale Giorgio ha sempre dedicato

grande considerazione ed affetto; e come suo compagno di strada in un fertile rapporto in cui ci ha legato l’interesse, vorrei dire la passione per due temi tra loro strettamente congiunti: l’urgenza di avviare riforme vere, capaci di cambiare volto ed anima a un’Italia ingessata; l’idea forte che il Nordest potesse proporsi come laboratorio avanzato di questo cammino.

A dieci anni dalla sua scomparsa, purtroppo questa prospettiva non solo rimane lontana, ma ha finito per aggravare ancor più una situazione già precaria. Sono sotto gli occhi di tutti l’imbarbarimento della vita pubblica e la crisi delle istituzioni; così come vistoso è il ritardo che il nostro Paese ha accumulato sul piano politico, economico, sociale. Spesso viene da chiedersi, e non sono pochi a farlo, cosa scriverebbe oggi Giorgio Lago nei suoi memorabili editoriali, concisi quanto densi: come commenterebbe questa estenuante lentezza del Paese nel mettere mano a un rinnovamento sempre più essenziale? Cosa direbbe ai protagonisti dei quotidiani balletti di dichiarazioni, polemiche, rimpalli di accuse? Che messaggio soprattutto cercherebbe

di trasmettere ai suoi lettori? Avendolo conosciuto e frequentato, io sono convinto che non cederebbe a un pessimismo che non è mai stato la sua cifra. Al contrario, continuerebbe a incalzarci tutti sulla via del rinnovamento, esortandoci a non cedere alla sfiducia e alla rassegnazione, a non cavalcare la logica del tanto peggio tanto meglio, che gli era decisamente estranea. Con altrettanta convinzione, continuerebbe a fare del suo giornale la voce di un Nordest esigente, che rifiuta le lezioni esterne come le derive interne, per farsi protagonista di una nuova e diversa stagione. Dire che ci manca è dir poco: ha lasciato un

Certo, per chi si trova in prima linea, nelle istituzioni come in altri piani, e voglio dirlo anche in chiave personale da Rettore di una delle principali università italiane, la tentazione di rassegnarsi e di ridimensionare le pretese è forte, almeno quanto lo sono le vischiose resistenze al cambiamento. Ritirarsi nel privato, cedere le armi, rinunciare a combattere, sono tentazioni inevitabili, specie quando si ha la sensazione di dover affrontare il confronto in modo impari. Immagino che anche Giorgio, nel suo contesto, abbia vissuto sentimenti analoghi. Eppure i suoi scritti non sono mai stati permeati di pessimismo. Per questo sono davvero convinto che anche oggi lui per primo ci inviterebbe a non battere in ritirata, a non darla vinta ai mandarini della restaurazione, a guardare ai tanti aspetti positivi che pure ci sono, e sui quali occorre far leva.

In un bel libro di Paolo Possamai, Lago è stato presentato con un’efficacissima immagine, che testimonia quanto ho appena detto: “L’inguaribile riformista”. In questo, ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi il simbolo dell’ispirazione ideale di quella rivoluzione liberale disegnata ormai quasi un secolo fa da Piero Gobetti, non a caso uno dei fari di Giorgio, da lui letto con tanta passione e spesso citato.

Ecco: abbiamo tutti bisogno di diventare inguaribili, di non farci contagiare dal virus della rassegnazione, come da quello della sterile protesta. È anche per questo motivo che come Università di Padova abbiamo appoggiato fin dall’inizio la nascita del Centro interdipartimentale di ricerca sul Nordest a lui intitolato. Ed è per questo che sempre attraverso il Centro abbiamo deciso di partecipare in modo attivo all’elaborazione di questo volume, che raccoglie un’ampia sintesi dei suoi scritti su un arco ventennale, corredati dai contributi di significativi esponenti della cultura, delle istituzioni, dell’economia, della società, che con lui hanno attraversato quella stagione. Pensiamo che ciò possa rappresentare un contributo non solo a tener viva la memoria, ma anche a farne un fertile seme perché lo slancio riformista, che era la cifra fondamentale di Giorgio Lago, non vada perduto.

Ma sono anche convinto che il modo migliore per ricordarlo, oggi e in futuro, non possa che essere quello di raccoglierne il testimone, ciascuno per la sua parte e per il suo campo di impegno: chi fa politica, chi opera nelle istituzioni, chi si occupa di economia, chi è attivo nella formazione, e anche chi fa informazione. A quest’ultimo aspetto Giorgio Lago teneva in modo particolare, e l’ha sempre dimostrato nel suo alto percorso professionale: rendendo quanto mai vera e attuale la lezione di Thomas Jefferson, quando sosteneva che le fondamenta di un governo poggiano sull’opinione del popolo. E aggiungeva: “Se dipendesse da me decidere se dovessimo avere un governo senza stampa o stampa senza un governo, non esiterei un momento a preferire quest’ultima soluzione”. Un messaggio forte, in un momento in cui la libertà di espressione è esposta a pesanti minacce: il suo è stato, è e rimarrà un atto di fede nei confronti del primato della ragione. Ed è questa l’eredità che vogliamo tenacemente custodire.”

di Giuseppe Zaccaria