Massimo Cacciari – L’idea madre di Federalismo

Giorgio Lago, l’idea madre di Federalismo

“È ormai tempo di collocare la figura e il contributo culturale-politico di Giorgio Lago in un contesto “grande”. Egli aveva individuato le caratteristiche del “salto d’epoca” assai prima della caduta del Muro e dell’esplosione di Tangentopoli – ricordo alcun interviste e discussioni con me sulla crisi del marxismo ancora negli anni ’70-‘80 – ricordo la sua attenzione per i contributi di Miglio e della sua scuola “verso una nuova costituzione” nel 1983. La crisi della tradizionale forma-partito, il nodo da sciogliere di un parlamentarismo “senza decisione”, la crisi di un apparato istituzionale-amministrativo sempre più inefficace e “irresponsabile”: su questi problemi strategici Lago si interrogava drammaticamente assai prima che diventassero patrimonio del dibattito pubblico. Per lui si era imposta già alla fine degli anni ’80 l’esigenza improrogabile di una riforma di sistema, dell’apertura di una vera e propria fase costituente. Solo così sarebbe stato possibile uscire dalla crisi, dalla spirale di decadenza che attanaglia il Paese. I fatti gli hanno dato ragione – anche al suo pessimismo, purtroppo. Andava “a caccia” di tutte le idee che gli sembravano affrontare con serietà e competenza questi problemi. Assolutamente privo di ogni pregiudizio ideologico. Ma tra le idee-riforma necessarie la prima, per lui, la “madre” di tutte, era quella federalistica. Il suo federalismo era concreto, storicamente fondato, pragmatico e insieme animato da una grande passione civile. Nasceva da un disincanto profondo sulla storia nazionale: un’“unità” se non senza libertà, come diceva Caccaneo, certo senza responsabilità, un centralismo deresponsabilizzante, contrario alla natura stessa della nazione, delle nazioni italiane, l’hanno contrassegnata. L’Italia sarebbe federale per la costituzione stessa del suo territorio, per la diversità degli abitanti e dei costumi, in quanto essenzialmente è storia di città e di individualità – ma di individualità UNIVERSALI , non “luoghi chiusi”, non localismi – di città che stanno da sempre “sulle reti lunghe” dello scambio economico, della cultura, della scienza – città che, anzi, queste reti hanno inventato…Venesia, Firenze, Napulè… Federalismo, per Lago, significava anzitutto coscienza e cultura storica – esattamente l’opposto di ogni “chiusura” egoistica; federalismo come sinonimo di responsabilità e apertura internazionale – federalismo che perciò finiva col fare tutt’uno in lui col più convinto europeismo – quello di Einaudi, quello di Spinelli, ma anche quello di Sturzo. Europeismo non può semplicemente significare rottura dei vecchi organismi statual-nazionalistici, ma fondazione di una nuova Europa federale, dei popoli e delle nazioni. La sfida europea che Lago aveva ben chiara davanti, e che per il momento si è del tutto perduta, è quella della costituzione di un’unità europea politica e federalistica. Fallire in tale obbiettivo comporterà il riaffermarsi di tendenze statalistiche, di un centralismo burocratico in sede comunitaria, o, peggio, anche come reazione, di movimenti esplicitamente anti-europeisti, a tinte reazionarie e xenofobe. Si andrà allora non OLTRE lo stato (come Miglio sognava), ma al di qua: alle piccole patrie – a micro-regionalismi velleitari, che moltiplicano il centralismo delle “capitali”. E così è accaduto – declinazioni mitologiche, vetero-nazionalistiche, dell’idea federalistica hanno finito col mascherare e basta egoismi regionalistici, localistici o, quando va bene, proteste fiscali – e tutto in senso anti-europeo. Opposta e complementare a questa tendenza: quella puramente conservatrice degli apparati politico-burocratico-amministrativi del centralismo, dominante in partiti e sindacati, operai e padronali. E la grande delusione europea – il fallimento del disegno costituzionale (che nulla peraltro aveva in sé di federalistico – neppure il principio di sussidiarietà era un suo pilastro). Il federalismo europeistico di Lago – sempre in confronto dialettico con quello di Miglio – era insieme autentico liberalismo – mille miglia lontano da quello dei Chicago boys, che ci ha condotto direttamente agli attuali disastri. Liberalismo per Lago significava questo anzitutto: la proprietà OBBLIGA – la creazione di ricchezza non può esser considerata un affare privato. Essa è al servizio del benessere collettivo, deve concretamente cooperare a condizioni più alte di cultura, di benessere, di servizi sociali. La visione costituzionale di Lago rimase sempre profondamente fedele a questo principio: lo stato deve essere garante a che tutti i soggetti agiscano al fine di superare situazioni di intollerabile disuguaglianza e ingiustizia. Ma ciò sarà concretamente possibile solo in quel quadro federalistico fatto di vera autonomia, responsabilità, sussidiarietà. L’anti-statalismo di Lago (molto americano! Yankee nel senso buono originario! Direi à la Emerson, à la Thoreau!) non è quello egoistico del “lasciar fare” – è quello impegnato contro il monopolio politico-amministrativo-ministeriale, affinché si liberino le risorse indispensabili per il sistema produttivo, per la ricerca e l’innovazione. Il suo liberalismo è anti-statalismo, non anti-Stato, e tantomeno anti-Europa, è anti- centralismo, ma solidale, cooperativo. Liberalismo è sete di libertà – né anti-Stato né anti-politica, ma contro lo stato divoratore di risorse, onni-legiferatore, auto-referenziale – è contro i sistemi di welfare, che ne hanno tradito il senso originario, a favore di un welfare che punti sul terzo settore, sul no-profit, sulle autonomie e la sussidiarietà, garantendo sempre a chiunque di godere dei servizi primari, dalla scuola alla salute. Era un keynesiano, anche, Lago – ma contro quel keynesismo che allarga la spesa pubblica “a piacere”, che non colpisce inefficienze e sprechi, e che alla fine non serve a superare le congiunture economiche critiche in favore dei più deboli. Lago era oltre il vecchio (e benemerito sessant’anni fa) welfare socialdemocratico divoratore di risorse, tramontato con la crisi fiscale dello Stato già alla fine dei ’70 – ma proprio per salvare la possibilità di politiche sociali domani. Lago è rimasto tutta la vita “alla caccia” di soggetti e organismi politici che fossero in grado di interpretare un tale federalismo culturalmente-storicamente fondato, un tale liberalismo responsabile e solidale, un tale europeismo federale. Li ricercò con passione, pieno di speranza quanto di disincanto. Era religioso quasi nelle sue speranze (l’amicizia con Turoldo – l’ammirazione per poeti come Zanzotto) – era amaro nelle sue delusioni profonde. Per tutto il calvario della cosiddetta seconda Repubblica ha cercato questo “passaggio” a Nordest… Perché un tale fallimento? Questo dovremmo oggi chiederci, per non ridurre la memoria di Lago a stanche parole. Molte le cause, troppe… Ma la lezione è almeno servita? O la crisi è così profonda ormai da rendere problematico ogni rimedio? Pseudo-partiti incapaci per anni di riformarsi e tracciare strategie non demagogiche pensano solo a sopravvivere – federalismo dimenticato, anche a causa di una crisi finanziaria che favorisce per natura politiche accentratrici – Europa “commissariata” dalla Germania… Cosa ci direbbe oggi Giorgio Lago? Forse invocherebbe ancora, da federalista, UN PATTO (col diavolo) – un patto razionale-utile, nulla di “organicistico” – analogo a quello teorizzato da un grande teorico del federalismo, Elazar – un patto tra coloro, ovunque momentaneamente alberghino, per porre finalmente mano ad una fase costituente: coraggiosa riforma del welfare versus ogni corporativismo e statalismo – federalismo reale: semplificazione amministrativa, delegificazione, radicale soppressione di enti inutili, liberalizzazione del mercato del lavoro. E l’idea dell’Europa politicamente unita e federale come regolativa del nostro lavoro in ogni sede.

UN PATTO di classe dirigente, chiaro, esplicito, trasparente, responsabile – è ancora possibile? L’ottimismo inguaribile della sua volontà avrebbe fatto rispondere a Lago di sì…

di Massimo Cacciari