1973 maggio 31 L’Ajax conserva la Coppacampioni
1973 maggio 31 – L’Ajax conserva la Coppacampioni
Hanno saputo perdere con dignità
L’Ajax segna un gol dopo quattro minuti. la Juve non subisce
nessun complesso d’inferiorità. Gioca calcio autentico anche se
non riesce a chiudere le rifiniture d’attacco, con errori sempre di
qualche centimetro. La Juve costruisce momenti gol ma non li
conclude. E l’Ajax, con prudenza quasi “all’italiana” , protegge il
suo 1 a 0 fino all’ultimo minuto. La Juve ha perso così la prima
finale di Coppacampioni nella sua storia; l’Ajax ha vinto così la sua
terza coppa. In assoluta imparzialità arbitrale, onore dunque
all’Ajax ma onore, in ugual misura, alla vecchia ma inestinguibile
signora del calcio italiano. Boniperti aveva detto ieri di voler
almeno perdere con dignità. Stasera, credo che nessuno in Europa
possa negare alla Juve questo contributo al prestigio della Coppa.
La scelta di tre attaccanti autentici non è stata un suicidio tattico:
costruirci sopra una speculazione, parrebbe in questo senso
soltanto una questione di partito preso. Non dimentichiamo, fra
l’altro, che la Juve è arrivata a questa finale di Coppa in questa
situazione difensiva: Spinosi in tribuna, Morini con il piede sinistro
addormentato, Salvadore con la tibia ancora dolente. Pur giocando
una partita di largo respiro offensivo, questa difesa ha incassato
soltanto un gol dalla squadra che è stata definita da anni una
autentica macchina da gol e che in Olanda segna una media di
100 gol a stagione. A questo punto, la sconfitta della Juve diventa
quasi una sconfitta soltanto numerica ma assolutamente non
appariscente sul piano del gioco. La Juve ha perduto a Belgarado,
ma non ha perduto assolutamente la faccia.
Racconto ora la partita in cronaca diretta.
Avevo riferito ieri della forte tentazione nello staff bianconero di
rinunciare al tatticismo, preferendo tre punte autentiche (Altafini,
Bettega e Anastasi) a un mediano
(Cuccureddu).
Preoccupata dalle feroci critiche piovute addosso al Milan da ogni
parte d’Europa dopo il povero spettacolo di Salonicco contro il
Leeds, la Juve ha fatto stasera una scelta anticonformistica e
senza complessi. Tre punte, dunque. Fortemente convinta della
grandezza dell’Ajax, la Juve ha cioè pensato che fosse preferibile
tentare un gioco offensivo alla pari, piuttosto che rifugiarsi nella
passività del catenaccio.
La scelta a mio avviso ben motivata divide subito la critica anche
football non esiste
se, purtroppo o
fortunatamente, nel
in più
controprova. Fra l’altro, l’andamento del match non consente
nemmeno il tempo di vedere come funzioni tatticamente questa
Juve “nuova”. L’Ajax va infatti in gol dopo quattro minuti scarsi.
Un cross cascante di Blankenburg, da sinistra a destra;
Longobucco che resta impiantato a terra, senza la minima
elevazione (ma forse c’è un appoggio) e il goleador Rep che si
solleva come una biscia a colpire di testa, diagonale e imparabile,
nell’angolo impossibile di Zoff, cioè alla destra del portiere.
E’ un gol che mi ha rammentato enormemente l’1a 0 del Brasile
all’Italia nella finale mondiale di città del Messico. Anche allora, sul
cross da sinistra, Burgnich rimase bloccato sui talloni, mentre Pelé
si innalzava a battere in armoniosa sospensione.
Date un’occhiata ha chi ha fatto il cross-gol dell’Ajax: si tratta di
Blankenburg, il battitore libero. Gli olandesi giocano un calcio
veramente senza ruoli e senza tribolate specializzazioni: ognuno
sa fare un po’ di tutto. I loro schemi hanno lucentezza danubiana; il
loro ritmo esprime potenza, ma una potenza compassata,
ragionata, senza indulgenze e sbornie podistiche.
Quando va via, a scattini di 3-4 metri, Cruyff mette la pelle d’oca
addosso alla difesa. E i due terzini, te li raccomando: Suurbier e
Krol scendono a turno, mollando via diagonali paurosi e centrati
sui quali troviamo sempre un grande Zoff. In fondo, il nostro
portierone friulano soffre in mezz’ora esatta di partita soltanto
istanti del match quando un
un’incertezza nei primissimi
traversone di Cruyff, quasi dal fondo, tocca l’incrocio dei pali.
Sto parlando dell’Ajax ma non vorrei venir frainteso. La Juve ha
patito un gol-gelato, un po’ cretino, ma non è affatto groggy. I
colleghi francesi, accanto a me, s’aspettano subito una slavina di
reti. Non è così. Questa Juve estrae infatti midollo vero dopo una
rete che avrebbe potuto ammazzare psicologicamente qualunque
squadra. Forse, la Juve viene aiutata nella lezione di Budapest,
dove la partita non finì nemmeno sul 2 a 0 per gli ungheresi.
Dopo venti minuti, è proprio la Juve che costruisce e tiene il gioco.
Il grande Ajax è costretto a controllare e a difendersi. Morini,
nonostante il piede in convalescenza, regge Cruyff con estrema
onestà; Marchetti s’impappina raramente con Keizer. Diventato
mezz’ala autentica per l’esclusione di Cuccureddu, Causio inventa
disimpegni bellissimi sull’out destro, dove “siede” ripetutamente
l’avversario per poi servire i tre colpitori centrali.
La Juve obbliga Hulshoff a una mezza mano, ai confini
dell’autorete. Il brutto è però che che le tre punte della Juve non
riescono a legare. Troppo spesso s’accentrano e s’inciuccano in
mucchio. Così, pur avendo sottomano almeno quattro situazioni da
pareggio abbastanza facile, il risultato del primo tempo si avvia
mentre sto guardando e scrivendo, verso l’1 a 0.
Vien da mordersi veramente le mani per questo 1 a 1 mancato
della vecchia Signora. Mancato prima da Altafini che viene
chiamato, in spazio assolutamente libero, a un lungo scatto di 50
metri, solitari, verso la porta avversaria. E’ la stessa situazione che
portò, esattamente 10 anni fa, José verso un indimenticabile gol a
Wembley, quando indossava la maglia del Milan e giocava contro
il Benfica.
Sono d’altra parte proprio questi dieci anni di differenza che
annullano la possibilità di 1 a 1. Pur con tutta la buona volontà, il
vecchio leone non riesce a staccarsi dalle calcagna il difensore
che lo preoccupa e lo disturba al momento del contatto con il
portiere: e Stuy riesce a bloccare in uscita. Tocca poi a Bettega,
smarcato a quattro metri, centralmente, davanti alla porta, il
compito ingrato di deviare troppo mollemente un pallone che, al 90
per cento, nella serenità del campionato nostrano avrebbe
cacciato all’incrocio dei pali. Il primo tempo si chiude con
un’ulteriore mischia, e tre attaccanti della Juve incapaci di rifinire a
rete azioni molto ansiose per l’Ajax. E’ un rilievo che, ora come
ora, conforta, ma che nello stesso tempo indispettisce.
C’è tensione quando comincia l’ultimo round. La Juve cerca di far
gioco riflessivo. Ora copia sul serio l’Ajax: anche Marchetti e
Furino cercano lo spazio per “andar dentro”. L’Ajax è preoccupato
e tenta di addormentare il gioco. Deve essere molto sorpreso da
questa Juve che gli rende la finale tanto difficile, molto più di
quanto non lo fosse stato l’anno a Rotterdam contro un’Inter in
sopore atletico.
Dotato com’è di colpitori a lunga gittata, l’Ajax quasi rifiuta
l’ostacolo, evita cioè di entrare in area. Ed è invece la Juve che
propone forcing. Ha speso molto nel primo tempo, ma continua ora
a inseguire il maledetto pareggio. Tenta con i cross alti, ma gli
stangoni dell’Ajax anticipano. Tenta il triangolo corto, ma i riflessi
delle “tre punte” sono un po’ nebbiosi. Tenta il contrasto di forza,
ma gli olandesi sono ben temprati: basti pensare a Blankenburg
che rifila una brutta cianchettata a Causio.
Dopo un quarto d’ora, la Juve spera di migliorare le rifiniture
offensive
in campo Haller,
imprevedibile e dunque jolly dell’impossibile. La Juve è ammirevole
togliendo Bettega e mandando
perché il tipo di risultato mette i brividi: se l’Ajax segna infatti il 2 a
0, addio Coppa, e non puoi perdere perciò concentrazione
difensiva; d’altra parte, per avere l’1 a 1, occorre manovrare in
molti il tema d’attacco. Date le premesse, il contropiede dell’Ajax
s’infittisce un po’: e Furino, vedendo Cruyff ancheggiare sulla tre
quarti, lo stende e si fa ammonire.
Tutto sommato, resta però partita estremamente corretta: avendo
vinto i rispettivi scudetti, Ajax e Juve giocheranno in ogni caso
anche la prossima Coppa Campioni: pur tuttavia sono in ballo
prestigio, pubblico enorme (in Tv e qui) e una girandola di milioni.
La tensione è ovviamente più che naturale.
Il tempo passa e la partita s’affloscia un po’ a centrocampo.
Capello perde uno stolto pallone e Haan vola basso verso il 2 a 0.
Capello è di Gorizia, Zoff di Mariano del Friuli: con solidarietà quasi
paesana, Zoff s’arrotola in aria e cancella il match-ball dell’Ajax.
Boniperti tira un sospiro di sollievo. Si va all’ultimo quarto d’ora e il
pubblico ha soltanto il tempo per imprecare o aspettare.
L’Ajax non sembra più lo squadrone di altre giornate; la Juve sente
la fatica e il peso di quel gol dopo pochi minuti. La Juve cerca un
ultimo fresco respiro: Cuccureddu al posto di Causio, spremuto da
un’ora tremenda. Il pareggio si fa però sempre più tremulo nell’aria.
Cuccureddu, scattato sulla destra, s’affida a un diagonale lontano:
pensa forse al magistrale gol segnato a Roma, un gol che è valso
il quindicesimo scudetto della Juve. La traiettoria è però troppo
distante e il portiere, sia pure sorpreso, controlla bene.
Ora mancano soltanto pochi istanti alla chiusura del match.
L’arbitro sta già recuperando qualcosa. Altafini subisce un tackle
duro, e la Juve si gioca l’ultima azione della partita. In area conto
almeno 14 giocatori. L’Ajax sente vicinissima la sua terza
Coppacampioni e si difende come può, con molta umiltà. Anastasi
ha un ultimo scatto, tenta di sorprendere il portiere avversario. E’
l’ultimo omaggio alla furbizia latina, ma purtroppo nemmeno
questa conta. L’arbitro Gugulovic, sul quale si era molto e
grottescamente discusso, si porta verso il pallone. Lo solleva tra le
mani, lo mette sotto il braccio, e dà così la chiusura alla finale di
Coppacampioni ’73-’74.