1980 luglio 23 Giovannetti ha centrato l’oro
1980 luglio 23 – Giovannetti ha centrato l’oro
Il toscano ha frantumato il piattello 198 volte su 200 dando così la prima vittoria
all’Italia
Dall’inviato
MOSCA – Luciano Giovannetti è l’uomo d’oro del piattello. Il piattello è un disco
d’argilla, catrame e gesso che viene lanciato fuori dalla fossa interrata alla velocità di
115-120 chilometri all’ora; pesa quasi un etto e ha un diametro di undici centimetri. Il
fucile Beretta di Giovannetti lo ha frantumato 198 volte su 200, sbagliando soltanto i
colpi numero 36 e 193. «Un l’ho proprio visto!», dirà alla fine spiegando che il giallo
del piattello gli era scappato in cielo confondendosi sul basso orizzonte con la macchia
scura del bosco.
Era da poco passato mezzogiorno, la prima medaglia d’oro dell’Italia, una medaglia
non declassata dal boicottaggio perché i migliori c’erano. Una cinquantina d’italiani ha
fatto cagnara, Franco Carraro ha detto «bravo», Artemio Franchi era lì anche per
solidarietà fra toscani.
Giovannetti è di Bottegone, una frazione a due passi da Pistoia. Non era mai stato a
un’Olimpiade, ma è come se avesse cominciato a vincerla fin da ragazzino quando
andava a caccia prima ancora di avere il porto d’armi. Ha un’armeria, ce l’avevano i
genitori, ancora in fasce era circondato da fucili, cartucce e biberon.
Ha 35 anni, occhiate verdazzurre, i capelli brizzolati, tutto quanto serve a uno scapolo.
Sorride volentieri, da estroverso, il tipo giusto per questo sport che, obbligando a
sparare da cinque posizioni diverse su bersagli sempre imprevedibili, viene appunto
definito «specialità per estroversi», da italiani più che da nordici, come osserva il Dt
della squadra, Sabino Panunzio, di Verona.
In Italia sembriamo tutti calciatori o ciclisti; in realtà la federazione sportiva
ampiamente più numerosa è quella dei cacciatori: due milioni! Di questi, circa un
milione e mezzo tirano anche al piattello e 14-15 mila lo fanno per agonismo vero e
proprio. I migliori si chiamano «extra» e, da ieri, Luciano Giovannetti è il top: per
mille società di tiro al volo e su 800 campi continua una tradizione formidabile. Dal
1956 il tiro ha sempre vinto medaglie: 4 d’oro, tre d’argento, tre di bronzo.
Il bello è che non c’è una scuola: sono tutti istintivi, come questo Giovannetti,
aggressivo sul piattello, dotato di un «tempo» eccezionale nel mandarlo in pezzetti in
sei decimi di secondo, come un Mennea del grilletto.
Su 198 bersagli ne ha colti 190 di prima canna, rendendo superfluo il secondo colpo.
Al loro effimero volo non concedeva più di 33-34 metri e pum, giù, domando ogni
emozione, la mano sudata a lisciare lentamente le braghe di velluto marron e, di tanto
in tanto, il pollice bagnato di saliva ad accarezzare il mirino.
Se sei spettatore te ne rendi conto benissimo, ma a tavolino sembra impossibile che un
tiratore di piattello debba battere soprattutto lo stress. Gli esperti lo definiscono
«bestiale». La gara dura tre giorni e basta avere qualche problema di sonno per essere
di sicuro fuori: ieri notte Giovannetti aveva dormito come un ghiro; a Montreal baldi si
rigirò nel letto e crollò. In gara si perdono anche quattro chili di peso.
É per questo che il tiro a volo ha scoperto in Italia la scienza. Da due anni l’équipe
medica del professor Vittorio Bonomini, neurologo alla clinica di Sant’Orsola di
Bologna e… cacciatore, ha messo a punto una tecnica per controllare e dominare lo
stress da emozione.
Usando un metodo unico al mondo e i cui risultati sono attesi con interesse anche da
altri sport, Bonomini ha seguito per due anni i tiratori olimpici, con test che
interrompevano gli allenamenti per prelievi di sangue e urine, per controlli del cuore e
della pressione, tutta una serie di osservazioni che sono state poi utilizzate nel
decidere la preparazione, il ricorso della ginnastica, le diete depurative. Giovannetti
mangiava troppa carne: ha dovuto lasciarla a vantaggio del formaggio e del latte.
Quando lo vedevamo ingrifato sul grilletto, nessuno di noi sospettava un tiratore
d’istinto e la sua parte «scientifico».
«Ci voleva, Dio bbono!», ha sospirato all’ultimo bersaglio. Non lo diceva certo per i
tre milioni di omaggio della sua Federazione e per altrettanti del Coni. Un giorno così
non si paga e non ha prezzo. Di certo pensava ai due anni di attesa, ai due anni senza
perdere nemmeno una gara! Sarebbe stato davvero odioso che l’occhio, il sonno, il
formaggio o il fucile l’avessero tradito proprio quando si era sotto sotto convinto di
essere infallibile come i Winchester del favoloso Far-West.
Che cosa significhi tanta attesa lo si è capito dopo la vittoria. «Lasciatemi andare a
pisciare!» ha pregato Giovannetti, svincolandosi dai russi impazziti per gli autografi.
Al controllo antidoping gli hanno fatto anche bere della birra, ma non c’è stato niente
da fare: bloccatissimo, è riuscito a riempire il flaconcino soltanto dopo due ore di
concentrazione.
Fuori, ad aspettarlo senza fretta, c’erano gli amici, i tecnici, i giornalisti, Basagni
piazzatosi settimo e un fucile custodito meglio di uno Stradivarius. Un fucile così,
fatto a mano, su misura della spalla e della mascella, in lega speciale, con balistica da
Houston, vale tre milioni e mezzo e pesa tre chili e mezzo. A forza di caricarlo,
alzarlo e puntarlo, durante una gara è come sollevare dei quintali. Adesso, bastava
quel ciondolo in similoro sul petto di Luciano Giovannetti a renderlo più leggero di
un grissino.
Fuori, nel cielo imbevuto di pioggia, una colomba volava bassa e ignara: non sa cosa
ha rischiato.