1980 maggio 1 Perché è nato il calcio dei trucchi
1980 maggio 1 – FACCHETTI / Il precoce professionismo dei vivai, l’avidità e il
vizio di credere nel sottobosco spiegano… Perché è nato il calcio dei trucchi
Lo scandalo visto da un integerrimo campione
Lo ritrovo a Paderno del Grappa il Giacintone, la mascella perfettamente rasata di chi
ha un contratto pubblicitario con una marca di dopobarba. Ha smesso di giocare da un
paio d’anni senza mettere su un etto di grasso.
È padre di famiglia, quattro figli. Fa l’assicuratore anche perché non ha mai
frequentato i corsi d’allenatore a Coverciano: il massimo che possa fare è il «secondo»
di qualcuno, ma c’è una complicazione. L’unico tecnico che Giacinto Facchetti ritiene
un vero «primo» è Helenio Herrera, che del gran terzino lombardo fu l’amorosa
levatrice negli anni ’60.
E forse il punto non è nemmeno questo, visto che l’Ivanoe Fraizzoli gli avrebbe
volentieri affidato i ragazzi dell’Inter. Il fatto è che uno come Facchetti ama più la
direzione che la panchina, si sente più vicino ai Mazzola e Rivera che agli scolari di
Italo Allodi.
È un monumento di gran calcio questo Facchetti. Dico qualche cifra: 20 anni tutti
all’Inter, mai un trasferimento, fedele nei secoli, 94 partite in nazionale, 476 in
campionato, circa 800 con il resto. 59 gol in campionato!, «tutti su azione – mi fa
notare – se avessi tirato i rigori, ne avrei fatti cento».
Oltre che terzino statuario come un Sigfrido, Facchetti è stato il protocampione, un
modello, in ciò parente di Sergio Campana. A Paderno c’erano entrambi, invitati dagli
arbitri di Bassano, e non potevano starci due «ex» più a proprio agio: in tutta la
carriera, Campana ebbe una sola ammonizione, Facchetti una sola espulsione! «Mi
toccò – ricorda – con l’arbitro Vannucchi in un’Inter-Fiorentina. Per me fu uno choc
farmi cacciare davanti a cinquantamila persone. Non ho mai fatto tackle cattivi».
È al campione robusto nella falcata e nel costume che chiedo: lo scandalo, le
scommesse, i processi, che effetto ti fa?
«Sulle prime pensavo a ricatti e vendette, non ci credevo. Di fronte agli assegni mi
sono arreso».
– Come se tu stesso ci avessi rimesso retroattivamente qualcosa?
«Sì. Ero sempre stato convinto che i calciatori fossero la componente più sicura del
calcio. Pensavo al 99% di professionisti puliti; ora debbo abbassare la percentuale».
– Se l’abbassi tu, pensa la gente comune…
«Ma una consolazione anche la gente ce l’ha: lo scandalo ha dimostrato che, o perché
non hanno voluto o perché non hanno potuto, ai giocatori i trucchi non sono sempre
riusciti. È importante; dimostra che non basta pagare qualcuno per fare il risultato
fasullo».
– A chi ha fatto peggio ‘sta sozzeria?
«Ai giovani che vanno allo stadio».
– Mi vuoi spiegare come calciatori milionari facciano i ladri di polli per qualche
milione?
«C’è in politica gente che ha 50 miliardi e ruba lo stesso. Il dramma è l’avidità. E il
bello è che non saranno mai ricchi perché non sono mai contenti».
– Dove nasce questa morbosa sete di lire?
«Nei vivai cosiddetti scientifici. Prendono i ragazzi a dieci anni, li portano via dalla
famiglia, si sentono professionisti con una precocità bestiale, perdono il contatto con
il padre e la madre magari alle prese con le mille lire».
– Approfondisci meglio.
«Io quando prendevo dall’Inter i forti premi di Coppacampioni, continuavo a vedere
mio padre che andava a comprare il taleggio dove costava cento lire in meno all’etto.
Non perdevo mai il senso della realtà. Oggi arrivano a 20-21 anni già stufi di fare i
professionisti: abbiamo i campioni, ci sono, ma non sanno più fare i sacrifici».
– È lo scandalo del denaro e della stupidità. Il cuore del sistema è andato in
fibrillazione parossistica.
«Il brutto del calcio di adesso sai qual è? Che troppa gente tra gli addetti ai lavori ha
diffuso la mentalità, il sospetto, la convinzione che si vince fuoricampo con il potere,
gli arbitri, la grana, il sottobosco, gli intrallazzi. Si pensa al contorno, non alla
sostanza, e infatti al calcio italiano mancano i risultati. Perché più si crede al
fuoricampo, meno si lavora in campo. Li conosco, quelli che la sanno lunga e parlano
e bisbigliano e raccontano balle e manovrano: sono proprio quelli che lavorano meno
in allenamento».
– Ai tuoi tempi, c’erano fenomeni di questo tipo?
«Ai miei tempi la parola scommesse apparteneva soltanto all’ippica. Noi, al massimo,
scommettevamo venti cene con i tifosi».
– Che fare adesso?
«Punire i sicuri colpevoli e tornare al lavoro”.
Giacinto Facchetti di sicuro non sogna amnistie. Uno che da terzino fa 59 gol va per
forza fino in fondo.