1980 Olimpiade di Mosca. L’Olimpiade delle superpotenze
Mosca 1980 – L’Olimpiade delle superpotenze
Dall’inviato Giorgio Lago
MOSCA – La parola « boycott » è di origine irlandese, come Lord Killanin, e stava a significare una
protesta contro tasse esose. Ma non è questo né il primo né l’ultimo né tanto meno il solo dei
problemi dell’Olimpiade contemporanea, galassia dello sport.
Quella di Roma nel 1960, ancora umana, costò 17 miliardi. D’accordo, qualcuno ci rubacchiò
sopra ma non c’erano inflazione e petrodollari: la lira era una cosa seria e fu premiata come moneta
dell’anno. Anche l’Italia che stava passando dai campi di grano alle fabbriche d’auto poteva
permettersi il lusso di ospitare la festa.
Da allora nei bilanci è arrivato Mazinga. Cifre folli, spropositi, salassi. Nel ’72 i tedeschi
andarono abbastanza sul liscio perché il marco è sicuro quanto un lingotto d’oro. Nel ’76 il Canada
rischiò la crisi finanziaria nella provincia francofona di Montreal e non riuscì nemmeno a
completare la costruzione dello stadio olimpico.
Ora tocca all’Urss e fra quattro anni, salvo ritorsioni dell’Est, agli Usa. L ‘Olimpiade si rifugia nel
ventre delle due superpotenze perché soltanto queste reggono ormai l’urto delle spese. Per
organizzarla non si tratta più di fare investimenti; occorre battere moneta.
Il quinto piano quinquennale dell’Urss prevedeva per la città di Mosca l’equivalente in rubli di 20
mila miliardi di lire, sia pure al cambio ufficiale, che è assai artificioso. In ogni caso, mentre le fonti
ufficiali parlano di una spesa per l’Olimpiade di soli 550 miliardi, le valutazioni occidentali più
prudenti fanno l’ipotesi di dieci volte tanto, 5000-6000 miliardi.
La colossale differenza trova una spiegazione abbastanza ragionevole. I russi si riferiscono alle
spese vive, intendendo l’Olimpiade in senso strettissimo, di impianto sportivo e di organizzazione.
Non mettono in conto il fatto di aver lavorato a tempo pieno sulla città di Mosca per renderla,
usando il termine di Killanin, «vetrina» dei Giochi. Dal nuovo aeroporto agli intonaci di San
Basilio, dagli alberghi alle telecomunicazioni, dai palazzi risistemati ai nuovi condomini, dai
trasporti ai rifornimenti, Mosca ha realizzato una mobilitazione di massa impensabile per un’altra
città di otto milioni di abitanti.
L’Olimpiade è un gigante ai limiti dell’ingovernabilità. Le specialità sono 24 e la prossima volta
si sa già che aumenteranno. Le medaglie da assegnare sono 444. Non ci fosse il boicottaggio,
sarebbero stati presenti il record di 125-130 Paesi, 13 mila persone al villaggio, 7500 giornalisti.
L’innaturale rapporto tra atleti e giornalisti, di quasi uno a uno!, ha fatto insorgere Killanin contro la
televisione colpevole — afferma il Lord — di trasformare l’Olimpiade « in un gigantesco show ».
Gli impianti sono sempre più decentrati e distanti, facendo perdere ai Giochi un minimo di unità
e raccoglimento, riscontrabili soltanto il giorno dell’inaugurazione e della chiusura. Prevalendo il
plurispettacolo sull’armonia, facendosi tra i Paesi sempre più « politico » il risultato del medagliere,
l’exploit rischia anche la nevrosi, il vincere mette in tomba il partecipare, a prezzo anche del doping.
Sono un trucco le scommesse del calcio, sono un trucco gli anabolizzanti dell’atletica: tre
lanciatori di peso jugoslavi sono stati squalificati l’altro giorno. E basta guardare in faccia certe
ginnaste di 14 anni per capire che qualcosa di importante è stato innaturalmente bloccato nel loro
sviluppo: gli occhi non corrispondono ai corpi, gli sguardi sono sfasati, è come se teste di 14 anni
fossero state attaccate su bambine di 8-9 anni. L’ultima autentica donna vista volteggiare a
un’Olimpiade fu in Messico Vera Caslawska, bella, bionda, simpatica, con il suo seno e le sue
cosce, con un corpo piacevole, non ancora vittima di assalti ormonali e di diete da lager. Già con la
Korbut e con la Comanechi, si era entrati nell’era della sofisticazione femminile.
Il prof. Beckett, padre dell’antidoping, avverte che soltanto fra un paio d’anni gli strumenti
tecnici di dissuasione saranno efficaci: con i mezzi d’oggi — ha ammesso — filtrano ancora
attraverso i nostri setacci il testosterone e i corticosteroidi.
Fatta la conta dei pericoli politici, organizzativi, finanziari, culturali e chimici, è già un miracolo
che l’Olimpiade sia ancora in piedi. Non avrà per caso avuto ragione quel matto di De Coubertin a
ritenerla «eterna»?