1980 ottobre 29 Che cos’era quella Milano anni Sessanta
la Milano delle cose
1980 ottobre 29 – Che cos’era quella Milano anni Sessanta
A me m’ha rovinato Milano, la Milano di Moratti, quella Milano del boom
economico, dell’opulenza,
intraprese alla svelta, pre-
sessantottesca, nella quale per cinque anni lavorai, provando a imparare il mestiere di
giornalista.
Era la Milano dentro l’Europa, circondata da una grande unica provincia italiana. Era
la Milano interclassista di San Siro, dove nemmeno l’ultimo dei baùscia delle
gradinate covava il minimo rancore per la filmica esibizione dei padroni della tribuna
d’onore.
Era la Milano di Moratti e di Herrera, di Allodi e Gipo Viani, di Mazzola e Rivera, di
Suarez e Altafini, di via Amedei, vicolo stretto a lato a Piazza Missori, che in cento
metri separava due mondi, due tifi, due interni della stessa società affluente. Separava
due ristoranti, due fratelli, il povero Pietrone e Ottavio Gori, toscani di Altopascio,
tavole e bandiere separate, dal Pietro l’élite della diaspora nerazzurra, da Ottavio il
cenacolo rossonero con tavolo riservato a Rocco e Nick Carosio, tra un whiskaccio e
un prosciutto all’osso tagliato a mano.
Era la Milano che ti riceve, ti squadra e t’insegna. Come ti fermi, sei già in periferia, e
non ricuperi. Quel calcio era come la città che lo produceva, rapido, ricco,
cosmopolita, seducente. Milano è una grande Milano, e in piazza della Repubblica,
prima di partire per Buenos Aires, Moratti scommise la sua smagliante Pagodina
Mercedes con Mariolino Corso: «se vinci, l’è tua». Fu sua.
A differenza d’oggi, quella era la stagione più liberitsa del calcio, a frontiere
apertissime, perché l’aveva insegnato il padre del miracolo economico tedesco, il ben
nutrito Ludwig Erhard, che l’autarchia era un vecchio ferro feudale.
Soprattutto con Angelo Moratti, Milano andò in giro, diventò un bene d’esportazione,
l’Inter di coppa era squadra di ventura. Il suo professionismo mercenario quadrava
misteriosamente con «La Madunina», entrava nell’anima come i Martinitt o La Scala.
E infatti Gipo Viani di Nervesa, più milanese dei lombardi, chiamò San Siro «la
Scala del calcio».
A me m’ha rovinato la Milano di Moratti. Forse per aver troppo da vicino assorbito
umori di un lungo arcobaleno del calcio, spesso le rughe del football d’oggi tentano
me e molti con il più reazionario dei vizi: la nostalgia.
Meglio, assai meglio, attendere il domani. E altri Moratti, e nuove Milano…