1981 Gennaio 9 Caro Brasile, questo sì che è calcio
1981 Gennaio 9 – CARO BRASILE, QUESTO SI CHE E’ CALCIO!
Un 4-1 alla Germania non è la fine del mondo per il Brasile. Come sostiene Fulvio Bernardini “Il gol
bisogna sempre cercarlo sennò non è calcio”, e i brasiliani lo cercano sempre: se anche non servisse a
vincere, ne farebbero lo stesso tanti perché si divertono.
L’Italia ne sa qualcosa, avendone pigliati ben due di 4-1 negli ultimi dieci anni. La prima volta in
finale mondiale a Città del Messico, nel 1970, e finimmo anche noi in tribuna con l’applaudire Pelè e
Rivelino, Gerson e Tostao, Jairzinho e Carlos Alberto. La seconda volta ci toccò negli Stati Uniti, nel
1975, e a imperversare davanti agli sguardi di Henry Kissinger furono gli Zico, i Gil, i Roberto, i
Falcao.
Quel giorno a New Haven, mi trovavo in tribuna con Aldo Biscardi e, alla lunga, ci accorgemmo
entrambi che della partita, del risultato e dei tormentoni azzurri non ce n’importava più nulla, zero.
Contava soltanto lo spettacolo, chi era più bravo prevaleva il senso estetico sul provincialismo. Da
spettatori, il nostro era un sentimento olimpico, cosmopolita, svuotando di nazionalismo.
Lo spettacolo non ha Patria, la bravura ignora passaporto. Quando giocano a calcio i brasiliani hanno
in abbondanza questa virtù: di fare palcoscenico più di chiunque. Mi ha detto l’altra sera Paolo Rossi:
“Saranno protagonisti al Mondiale di Spagna, fra un anno”. Riscuotono sempre credito percHé il loro
futebol, esprimendosi da una base elevatissima di tecnica e fantasia, non scade mai a broccaggine,
nemmeno negli inevitabili momenti di stasi.
Visti i quattro gol alla Germania? Punizioni ad effetto, conclusioni al volo, doppio colpo di tacco,
diagonali al millimetro, cross falcianti, tocchi smarcanti nel vuoto. Sono il bagaglio della classe ma,
badate, anche di un football interpretato con allegro vigore o vigorosa allegria. Divertono perché si
divertono.
Il brasiliano è inter-razionale, ha note musicali mischiate ai globuli rossi. Lo so, nel loro calcio c’è
simpatia. Fateci caso: quando vuoi dire che un asso tedesco ha qualcosa di speciale, da Beckenbauer a
Hansi Muller, gli attribuisci piedi “da brasiliano”.
Il tecnico dell’Olanda spiega l’eclissi della sua squadra anche co n i troppi fiorini, i troppi vizi, la
calata capacità di sacrificio, sottintendendo che la “fame” il termine è suo – stimola crescita e durata
dei campioni. Il Brasile no.
I brasiliani restano tali e quali nonostante le mutante condizioni ambientali e culturali. Garrincha,
l’uccellino, viveva ai margini della foresta in un nido di figli e mogli. Pelè arriva, Orfeo Nero della
samba, fuori dalle favelas della povera gente. Oggi gli eredi sono medici come Socrates, futuri
avvocati come Ze Sergio, diplomati al liceo come Paulo Isidoro o ragionieri come Junior. I cruzeiros
non li hanno svuotati di stimoli e, pur nei tempi che cambiano per tutti, giocano suppergiù con
l’ispirazione degli antenati, senza definitivi guasti.
Ai dottori è rimasto dentro un atomo di Orfeo.
Giorgio Lago