1982 ottobre 27 Italia-Svizzera: benvenuti campeones!

SVIZZERA
1BURGENDER
2 LUEDI
3 HERMANN
4 EGLI
5 GEIGER
8 WEHRLI
7 FAVRE
8 DECASTEL
9 SULSER
10 PONTE
11 ELSENER
All. WOLFISBERG

1982 ottobre 27 – Italia – Svizzera: benvenuti campeones!
Gli anni di Bearzot
Lamberto Mazza prevede uno sviluppo azzurro fino al 1990 – Arbasino e Bocca per
rispondere ai perché del Ct – «Gli isontini sono uomini seri e tenaci»

COSÌ IN CAMPO
(Olimpico, Tv2 ore 20.30)

ITALIA

1 ZOFF

2 GENTILE

4 CABRINI
11 MARINI

5 COLLOVATI
7 SCIREA

16 CONTI

14 TARDELLI
20 ROSSI

9 ANTOGNONI
19 GRAZIANI
All. BEARZOT
Arbitro: COELHO (Brasile)
IN PANCHINA – ITALIA: Bordon (12), Bergomi (3), Causio (15), Altobelli (18),
Baresi (2), Vierchowod (8), Dossena (10), Massaro (17), Selvaggi (21). SVIZZERA:
Berbig (12), Weber (13), In-Albon (14), Maissen (15), Braschler (16).

Dall’inviato:
ROMA – Per la «prima volta» dell’Italia post-Mundial è stata scelta Roma, la capitale,
caput mundi della fede pallonara di rito azzurro. Stasera contro l’amichevole Svizzera
rivedremo i campeones, gli «atleti d’oro 1982» che nel pieno di un torrido luglio
madrileno ripeterono senza saluto romano il risultato del 1934 e del 1938.
Un «controcorrente» del giornale di Montanelli si augurò di lì a poco di non dover
assistere ad altre sbornie nazionali motivate dal calcio. Ma lo stesso Sandro Pertini,
con istinto più allegro e popolare, fu di diverso parere: «É stato il più bel giorno della
mia presidenza», confessò sorridendo di gusto.
Italia – Svizzera di stasera non è una partita in senso stretto. É un ritorno alla
normalità, un rimettere i piedi piacevolmente per terra, con l’avvertenza che nella vita
in genere si perdona tutto fuorché il successo. Il difficile comincia ora; dover ogni
volta dimostrare che Madrid non fu un’illusione ottica destinata a durare lo spazio di
un mattino.
Gli svizzeri oggi, cechi e romeni fra non molto, saranno i primi a tirar picconate al
piedistallo dei campeones. Nello sport più s’è stimati e più si rischia la smentita. E
poi, quando hai toccato il cielo, non puoi che umanamente scendere: il problema
consiste soltanto nel resistere il più possibile alla forza di gravità.
Lo sa bene Leonardo Vecchiet che nei giorni scorsi ha rischiato di passare per un
professor Faust che, attraverso la Carnitina L vitamina-simile, soffia diabolici zolfi
dentro i muscoli dei 22. Lo sa benissimo Enzo Bearzot che l’altra settimana a Gorizia
si poneva una domanda ancora senza risposta: «Che cosa ho fatto di male per
meritare le insolenze prese prima del mondiale e a Vigo?».
Al Ct che non archivia i «ricordi amari» e che trae nerbo solitario soltanto dai suoi

«meravigliosi ragazzi», potrebbero rispondere o Alberto Arbasino o Giorgio Bocca.
Nel suo romanzo-conversazione «Un paese senza», Arbasino fiuta una sorta di logica
dell’annientamento nelle pulsioni di squadra e di gruppo citando, tra gli striscioni
domenicali stesi allo stadio, il celebre «Devi morì, devi morì!» romanescamente
riservato agli avversari. «Una golosità di vittime fresche – ironizza Arbasino – pari a
quella dei cartaginesi e degli aztechi, forse altrettanto pericolosa».
Meno paradossale e più dogmatico è Bocca nel suo «In che cosa credono gli
italiani?», libro appena giunto nelle librerie. Il tifo italiano gli sembra una «commedia
dei pupi, con la plebe che ha il pollice verso per i deboli, abbatte gli idoli alla prima
sconfitta, li rimette sugli altari se tornano a vincere. Donde un giornalismo sportivo
che è fra i più voltagabbana e maramaldi e bugiardi che si conoscano, dovendo tener
dietro ai gusti di un pubblico che crea i divi solo per togliersi il gusto di vederli
decadere verso malinconici ritiri».
Se l’alito del calcio è quello dei ludi gladiatori, Bearzot non dovrebbe porsi tanti
perché. É la legge. Oltretutto, un panorama di soli gentlemen lo priverebbe del sottile
stimolo provocato dall’avversione; gli mancherebbe un punto d’appoggio nel «fare
gruppo», che è stata la grande specialità dell’exploit del Mundial. Le vie di un gruppo
da alta competizione, come una squadra di 15 titolari a un campionato del mondo,
passano anche attraverso il silenzio, il vittimismo, la ritorsione. Una legge del taglione
dove la libido del vincere è proporzionale allo sberleffo e all’inventiva.
Il calcio in Italia non coincide con le sole rotazioni di un pallone. Come in Brasile è
qualcosa di più, sennò non tele-ammalierebbe oltre 37 milioni di utenti, come accadde
la sera dell’undici luglio. Lo osservò anni fa anche Enzo Biagi nel suo «Italia»
quando, chiedendosi «In che cosa sperano gli italiani?», rispose cominciando così
l’elenco delle speranze: «Molti nel Totocalcio».
É qualcosa di più questo calcio e può restare a lungo allo zenit secondo una previsione
di Lamberto Mazza, manager sapiens della neo-Udinese. «Il calcio italiano – dice
Mazza proprio a Bearzot, dieci giorni fa al Castello di Cividale – avrà uno sviluppo di
almeno altri otto anni. I prossimi quattro sull’onda del Mundial vinto, i quattro
successivi fino al Mundial che nel 1990 sarà organizzato in Italia».
Da stasera contro la Svizzera Bearzot tenterà di prolungare la notte di Madrid verso
gli Europei 1984 e correrà sempre il rischio di finire piegato sotto un ricordo da
mandare a futura memoria. Il sogno è di resuscitare un Vittorio Pozzo d’altri tempi,
ma i tempi sono davvero altri e nulla è più uguale nei nostri bioritmi.
Quando tocchi il tuo tetto professionale può anche coglierti una tentazione di pausa se
non di resa. A 55 anni forse Bearzot qualche dubbio ce l’ha. Ama troppo cantare de
Elio e Beppina le villotte furlane di Daio Zampa per non sognare qualche seggiola più
placata della panchina. Ma a Gorizia i suoi conterranei gli hanno ricordato che «gli
isontini sono uomini seri e tenaci», non mollano facilmente nemmeno quando vanno
verso più rischi che certezze.
In compagnia delle sue rabbie, dei suoi «anti» e dei suoi perché, Bearzot ricomincia
stasera con il destino segnato de quei 42 giorni di Spagna. Allora gli spagnoli
definirono la sua Nazionale una «màquina inteligente» e chiamarono la Juve
«columna vertebral» di quella macchina; oggi i pezzi del meccano azzurro sono un
po’ sparpagliati. Conti e Tardelli hanno sofferto magagne. Bergomi è militare. Marini
l’hanno espulso per una testata da fronte del porto. Rossi è ammanettato in zona-gol.
Graziani ha conosciuto l’esclusione per dubbio rendimento. Gentile e Cabrini non
spuntano ancora con tutto il fiore in bocca.
Oggi a Roma, i «meravigliosi ragazzi», come se li chiama Enzo Bearzot, torneranno
in campo Cavalieri della Repubblica, di notte, senza record d’afa, e finiranno forse

con il provare nostalgia della Spagna. Il dramma di chi vince consiste nell’imbattersi
a vita in chi glielo rammenta.
Grande Italia del Mundial, prova a moltiplicarti: il domani comincia ieri? Suerte
campeones, da oggi ne avrete bisogno più di prima.