1983 Maggio 26 La maledizione di Coppacampioni sulla Juventus

1983 Maggio 26

Finale di Coppa campioni ad Atene: Amburgo – Juventus 1-0

La maledizione di Coppa campioni sulla Juventus

Pieno onore ai tedeschi, l’Amburgo è campione d’Europa 1983! Nemmeno all’undicesimo tentativo
la Juventus ce l’ha fatta: i suoi venti scudetti non sono evidentemente da esportazione. La maledizione
continua e nella storia del calcio italiano, accanto alle fiammanti coppe di Inter e Milan, rimane questo
vuoto imbarazzante.

Quando Felix Magath, nello stile il più latino dei tedeschi, ha accoltellato in diagonale la porta di un
impaurito Dino Zoff, ho visto l’avvocato Agnelli passarsi una mano sulla faccia come per non vedere.
Il ramo-calcio della Fiat è condannato all’autarchia. La grande, scintillante coppa posata sopra una
bandiera greca a strisce bianche e azzurre è stata presa tra robuste mani teutoniche e viaggerà alla
volta del Mare del Nord.

La resa della Juve è stata patetica di fronte a un pubblico mai visto al mondo. La voce ufficiale
dell’Uefa ha comunicato ieri sera che gli Italiani venuti ad Atene erano quarantottomila! Una cifra
incredibile. Anni del boom o anni ella crisi, l’Italia emigra sulla centrifuga scia di un pallone a costo
di suscitare l’ironia altrui. “Per gli italiani è più importante la partita che il pane quotidiano” ha scritto
u8n giornale di Amburgo.

Il calcio è l’unico fenomeno di massa a non conoscere astensionismo e scheda bianca, disaffezione e
scetticismo. Ma il crack della Juve ad Atene è stato colossale, inversamente proporzionale al tifo che
la sorreggeva. 25 maggio 1983, doveva diventare una data storica: lo è ugualmente, ma per record di
mestizia. Aveva detto Platini che sarebbe stata una partita tattica, così è stato. L’Amburgo non ha
sbagliato nulla, vincendo la partita a centrocampo dove il contraddittorio della Juve non è proprio
esistito. Le incongruità della Juve (oltre che la suprema regolarità della Roma) avevano segnato lo
scudetto 1983 ma conoscevamo la Juve di Coppa, sempre autorevole, di gran classe, giusta fusione
di spinta psicoatletica e di invenzioni personali. Non a caso questa Juve perde la finale e chiude, quasi
una presa per i fondelli, con Paolo Rossi capocannoniere: ben sei inutili sfottenti gol!

Ma questa rassicurante Juve di Coppa è scomparsa dalla circolazione all’appuntamento conclusivo di
Atene. Nel senso pieno della parola, la Juve non è mai riuscita ad avere in mano la partita. Ha preso
il gol dopo otto minuti e non ha più potuto capirci nulla, sicché ha ripetuto esattamente la finale del
1973 a Belgrado contro l’Ajax. Anche quella sera, preso un gol da Rep dopo cinque minuti, non riuscì
più a rimettere in sesto il risultato.

Chi ha visto la partita in televisione, non si faccia trarre in inganno dal golletto di differenza in tutto.
Il margine espresso in campo tra Amburgo e Juve è stato ampiamente maggiore. Boniek ha salvato
sulla linea di porta il secondo gol, con Zoff battutissimo, dal destro di Kaltz. Quasi tutte le palle gol
sono dell’Amburgo, tant’è vero che soltanto su rigore del portiere Stein, che spintonava Platini, la
Juve avrebbe potuto pareggiare.

Non bastasse la superiore pericolosità, l’Amburgo ha meritatamente vinto la finale per schemi
migliori, che hanno stritolato la Juve. Anche quando ha prodotto il lungo forcing, la Juve non è mai
parsa sciolta e perentoria. Andava in sfondamento; tirava fuori tutto il bagaglio d’orgoglio e di
ribellione ad uno storico destino di sconfitte europee, ma non ce la faceva proprio ad alimentare gioco

e palle gol. Altro che campo neutro! La Juve è come se avesse giocato in casa di fronte ad un
magnifico pubblico quasi tutto suo, eppure l’atmosfera non è servita a nulla. All’inizio la squadra è
parsa soltanto vigile; in realtà era già contratta; poteva sembrare attendista, capace di inseguire il
pareggio sul filo del ragionamento. No, era pia illusione. A centrocampo la Juve era sconfitta,
sormontata, battuta. Da una parta l’impotenza di un Bonini e dello stesso Tardelli a sospingere gioco;
dall’altra I Magath e i Groh, pressoché perfetti, quasi alieni da errori.

L’Amburgo ha chiuso gli spazi. Ha fuso alla perfezione difesa e mediana, dando fondo a tutta una
serie di piacevolezze tattiche, che portano evidente lo zampino del grande stratega austriaco Happel.
Ha spostato Milewski a sinistra, creando disagio nel settore destro della Juve. Ha marcato strettamente
a uomo Platini. Ha organizzato, dopo il vantaggio, un contropiede davvero… all’italiana.

Ha mostrato una squadra allenatissima nella tattica del fuorigioco, che ha tagliato le gambe e le
intenzioni agli attaccanti della Juve. Senza contare che l’Amburgo ha eseguito anche un pressing
accanito, eppure corretto.

La supremazia dell’Amburgo è stata tanto netta da lasciarci quasi senza commento, come se una Juve
favorita non fosse mai esistita. Presto in affanno, la Juve è crollata in più di una pedina. Sul gol, tirato
molto lontano, Zoff ha lasciato molto perplessi. Scirea, Bonini, Tardelli hanno giocato nettamente
sotto tono. Nessun attante, tranne un colpo di testa di Bettega all’inizio e il pallonetto da rigore di
Platini alla fine, l’ha fatta franca: o era marcato o finiva in fuorigioco. Un autentico stillicidio,
sembravano tutti prigionieri, in stato di cattività, ansiosi, slegati. “Sgonfi, per usare l’aggettivo di
Trapattoni alla fine.

Un Amburgo preciso, efficiente, guidato da un grandissimo Magath, li ha annichiliti: ad un certo
punto, la Juve, più che uno squadrone, sembrava una provinciale alla ricerca del risultato tutta
basandosi sul cuore. Il football lo aveva via via smarrito.

Rossi è stato sostituito, a mio avviso sottolineando che lo stesso Trapattoni non c’era più. Anche se
in difficoltà, Rossi è sempre giocatore che ti può risolvere una situazione, magari in mischia, a corto
raggio. Perché togliere lui quando, perso per perso, in retrovia c’era soltanto l’imbarazzo della scelta?
Comunque, sono dettagli, pari al rigore non concesso.

La realtà è un’altra: il calcio tedesco si è preso una formidabile rivincita sulla finale mundial di
Madrid, esaltando un Amburgo perfetto, giunto ad Atene ben gasato e ancora al massimo del tono.
Ha giocato in campionato fino a sabato scorso mentre la Juve è praticamente ferma da dieci giorni.
Fermarsi è un’insidia, scrivevamo ieri, altro che salutare riposo.

Questa è una sconfitta grave che riduce a zero la stagione della Juve, senza scudetto e senza Coppa,
senza nulla, proprio quando era stata allestita per vincere tutto. Le conseguenze saranno a mio parere
notevolissime: a parte il canadese Bettega, Zoff, Boniek, Bonini, lo stesso Rossi e, perché no?
Trapattoni rischiano di essere messi in discussione, fino a cambiare una porzione importante della
squadra soltanto l’estate scorsa definita ammazza Campionato.

Lo choc è troppo forte per non lasciare un segno facendo trarre qualche drastica conclusione interna.
Non ne uscirà naturalmente indenne la nazionale post-Mundial che vive tuttora sul blocco juventino.
Domani mattina da Torino ripartiremo per la Svezia alla ricerca di un’altra partita assolutamente da
vincere per restare, stavolta, tra i finalisti del Campionato d’Europa: per chi crede ai presagi, Atene
non ne concede alcuno. Con chi farà un’improvvisata nazionale Bearzot? Con gli juventini battuti?
Nessuna invidia per Bearzot.