1983 luglio 25 – Lo sport non è dei “razza padrona” e non ammette più sberle ai peones
1983 luglio 25 – Lo sport non è dei “razza padrona” e non ammette più sberle ai peones!
L’ordine dei Flagellanti, discretamente diffuso nello sport italiano, è in lutto.
Inconsolabili, affranti, piangono sulle prime pagine la perduta autonomia dello sport dopo la
decisione del Coni! Giorni tristi per l’Italia non saranno determinati da inflazione o malgoverno,
bensì dal sì a Zico-Cerezo, che avrebbe messo in risalto la diabolica violenza dei politici. Addio
verginità del calcio, il sì ha deflorato la sua autonomia! Perfino una simpatica battuta del
paterfamilias d’Italia Sandro Pertini (“Zico e Cerezo sono bravi, – aveva detto il Presidente – fateli
giocare in Italia”) li ha scandalizzati: lo sport è una torre burnea, lo sport agli sportivi, come si
permettono di interferire disturbando la nostra privacy?
C’è in questo atteggiamento disinformazione e Arcadia, partito preso e frettolosa analisi.
Autonomia dello sport in pericolo? Sarebbe doveroso ricordare che ola Legge 91, quindi lo
svincolo, quindi la lenta professionalizzazione dello sport italiano, viene proprio da un
provvidenziale attacco all’autonomia. Per l’esattezza fu determinata dai carabinieri spediti in un
hotel di Milano da un esposto del Sindacato calciatori contro i mediatori. Senza i carabinieri a
irrompere nel tempio tra i mercanti, lo sport vivrebbe ancora alla giornata, senza uno status
giuridico.
È per merito di quell’atto di nascita che oggi la sentenza del Coni è frutto non di un patto tra
segreterie di partito ma di un articolo di Legge dello sport, due anni fa unanimemente elogiata e
altrettanto unanimemente votata in Parlamento.
Quella Legge fu promulgata proprio per garantire l’autogoverno allo sport. L’autonomia non è in
pericolo perché il Coni ha posto rimedio a una decisione clamorosamente demotivata come quella
della Federcalcio, ma perché i Flagellanti del giornalismo sportivo, certi “ricchi scemi” alla guida
delle società e alcuni Tutankamen del Potere burocratico-federale non sanno ancora da che parte
cominci l’autogoverno. Per ora hanno dimostrato di saperlo soltanto Franco Carraro, il Coni, i
Nebiolo e i Gattai che, attraverso l’atletica e lo sci, sono da anni alle prese con sponsor, pubblicità,
spettacolo e sport evolutivo, un po’ agonismo e un po’ industria.
Il sì a Zico non arriva da un corpo estraneo allo sport, anzi dal suo organismo più prestigioso e più
rappresentativo: la Giunta esecutiva del Coni. Non per nulla noi avvertimmo fin dal primo istante i
nostri lettori che, con quei tre giuristi oltre che con quella garanzia personale (Carraro) e legislativa
(Legge 91), ogni sentenza meritava di essere assolutamente accettata, sia in caso affermativo che
negativo. Chi oggi piange sulla presunta perdita di autonomia dello sport rivela una cultura
barbarica del Diritto: è fermo all’”Ipse dixit” o meglio, al “Fuhrer Prinzip”, la parola del Capo è
legge senza appello. No! Il Coni è sport, la sua valutazione è stata autonoma in nome della Legge
91 sullo sport, altro che resa alla politica. Gli stesi che ora si danno in alti lamenti sono quelli che
suonarono le campane a festa quando la Legge fu votata. E sono gli stessi che si commossero fino
alle gioiose lacrime quando il Coni mandò i tennisti da Pinochet (1976, Coppa Davis nel Cile-lager)
e quando inviò l’Italia da Breznev (1980, olimpiadi nell’Urss del massacro afgano). Il Coni era
“autonomo” soltanto perché coincidente con le proprie opinioni?
Nessuno si scandalizza se la Corte di Cassazione, valutando in meri termini di diritto, ordina la
ripetizione di un viziato processo penale. La giustizia, per funzionare, non può non possedere
ricorsi, appelli, zone di garanzia, strumenti di pronto soccorso contro gli errori, una dialettica
giudiziaria al riparo da sentenze ultimative. Il Coni è stato questo, un tribunale di dirigenti sportivi
che, per opportuna decenza giuridica, ha lasciato che fossero dei giuristi, gente di mestiere, a
valutare la correttezza o meno dei contratti Zico-Cerezo e dei bilanci Udinese-Roma.
Altro che “serietà” e “rigore” del no della Federcalcio. La Federcalcio aveva sbagliato, il Coni ha
riparato all’errore. Tre pezzi da novanta del diritto civile e amministrativo hanno detto che era tutto
in regola. Se non fosse stato per la Legge 91, per il Coni, per tutti quelli che, pubblico o politici o
stampa, reclamarono con forza l’applicazione di norme eque, l’Udinese non avrebbe avuto Zico e,
soprattutto, si sarebbe portata dietro per un pezzo l’immagine di società presa con le mani nel sacco.
Il contratto è corretto, andava ratificato: il resto è feuilleton.
I politici hanno il diritti-dovere di occuparsi, un giorno ogni 365, anche della difesa di un diritto
sportivo e professionale, se è vero che lo sport è di tutti, è popolare, è in enorme espansione e si
offre quale antidoto a qualche male che affligge i giovani. Non si può rimproverare ai politici, per
364 giorni all’anno, di trascurare i problemi dello sport agonistico o no e – paradossalmente –
rimproverarli anche in quell’unico giorno messo a disposizione del cittadino-utente di sport. Se
anche c’è in tutto ciò la ricerca di facili voti, va perdonata. Soprattutto certi presidenti di società, in
quanto a caccia di gratuita popolarità, dovrebbero andarsi a nascondere e star sempre zitti. Nel
calcio ci sono personaggi letteralmente inventati, il cui unico titolo di merito è quello a nove
colonne.
Allora, viene il sospetto che, di fronte a tanta rivendicazione di autonomia sportiva del tempo che
fu, ci sia soltanto il rimpianto, per quanto lo sport era “cosa loro” e la sua indipendenza consentiva a
lor signori di fare i comodi propri in santa pace, tra pochi intimi, con ogni riguardo ai “razza
padrona” e con quattro sberle sul muso dei peones, meglio se di periferia.
Poiché, soprattutto in una società complicata e fermentativa come la nostra, è utopia vagheggiare un
Potere illuminato dal “Principe” di turno, occorre dare a questo Potere confini e regole. Il Coni ha
difeso lo sport perché ha dimostrato che si può riparare a un errore con mezzi propri, precisamente
di giustizia sportiva. Senza credibilità non ci sarebbe autonomia, ma soltanto uno sport debole in
attesa di essere occupato. Anche quelli che hanno sempre l’orologio indietro, capiranno presto che
proprio con il sì a Zico-Cerezo è cominciata l’epoca dell’autogoverno sportivo: il momento in cui lo
sport riesce a farsi giudice di sé stesso.
Un momento di consolidamento, non di resa. Da quando in qua far rispettare contratti civilmente
validi è una sconfitta per lo sport?