1983 marzo 18 Conto aperto tra Platini e Falcao
1983 marzo 18 – Conto aperto tra Platini e Falcao
La Juve è rimasta sola in Europa e questa non è una buona notizia per una Nazione che ha vinto nel
1982 il Mundial. D’altra parte la coerenza sta proprio qui, nel fatto che la Juve 1983 rappresenta per
sei undicesimi proprio la squadra di Bearzot.
L’Inter è fuori con una notevole dose di bile, avendo nell’andata a San Siro commesso un errore
gravissimo ( il gol inventato da Bordon) e patito un torto altrettanto grave ( l’annullamento del
magnifico e regolare gol di Altobelli). Il fatto è che questa Inter non viene più presa sul serio
nemmeno da un arbitro turco in vacanza a Milano! La squadra ha poca personalità, e forse soffre
anche una perdita di suggestione o, meglio, di “ potere”.
Il doppio fallimento scudetto-coppa obbligherà l’Inter a radicali mutamenti. La scorsa estate prese
uno straniero sbagliato ( Juary) e uno mezzo rotto ( Muller). Sono queste le cose che lasciano
perplessi anche se Fraizzoli è un presidente molto per bene e anche se l’amministratore Mazzola
lavora molto seriamente.
Basti pensare che l’Inter è arrivata agli stranieri-delusione dopo aver avuto per un paio d’anni
letteralmente in mano Michel Platini, pedinato e opzionato in anticipo su tutti. Il fatto che
l’influenza personale e industriale di Gianni Agnelli non la può improvvisare nessuno, nemmeno a
colpi di eurodollari: Platini è alla Juve per merito né di Boniperti né di Trapattoni, ma soltanto
perché a Parigi andò a precettarlo l’Avvocato, nella lussuosa funzione di Mecenate buongustaio.
Tutti sono riluttanti a dirlo, ma questa Juve che domina in Europa e che, molto in ritardo, sta
mettendo qualche incubo alla Roma, è figlia dell’intervento su Trapattoni. Con una battuta senza
convenevoli, fu Agnelli che- scandalizzato dal degrado invernale del suo squadrone di campeones –
disse: “ finchè il regista sarà Furino…”. Con quell’allusione coincide supergiù il tramonto del
trentaseienne mediano, mentre la regia passa senza incertezza a Platini.
Quello di Agnelli non è il solo intervento, anche se importante perché accelera lo slancio tattico
della Juve. Provvede ad esso anche Boniperti, il presidente-tecnico, che, alla chetichella, senza
informare Trapattoni, vola in Inghilterra a studiarsi in pace l’Aston Villa e insiste poi con
l’allenatore par far giocare Bettega a Birmingham: in altre parole, chiede di smetterla con
l’ossessione delle marcature andando piuttosto a preoccupare gli inglesi con un attacco a 180 gradi
che in questo momento non ha pari al mondo, come esperienza e valenza tecnica. Leggiamolo:
Boniek Tardelli Platini Rossi Bettega.
Complicata non dalle ossessioni ma da alcune sovrapposizioni d’assi, un po’ psicologiche e un po’
tattiche, la Juve si è ritrovata pronta per la primavera e per la Coppacampioni sfruttando il gusto del
suo Mecenate, l’esperienza del suo presidente, il lavoro ai fianchi del suo tecnico: a dimostrazione
che le autonomie sono spesso un mito e che il football è divertente anche perché non vive di sole
abilitazioni federali e di supercorsi.
L’Europa restituisce al campionato una Juve finalmente sincera, cioè più forte di chiunque. Anche
se in extremis, forse c’è tempo per restituire a uno scudetto finora a bassa corrente un lampeggiante
salto di tensione. Tra Platini e Falcao il conto resta aperto con rumorosa soddisfazione del loggione:
noblesse oblige.