1984 Aprile 26 Finalissima Roma – Liverpool
1984 Aprile 26 – Finalissima Roma – Liverpool
E’ fatta , senza regali. All’Uefa (organismo che dirige il calcio europeo) interessava moltissimo avere la
Roma in finale a Roma prenotando così un altro business senza precedenti, ma l’arbitro francese Michel
Vautrot non è stato il killer degli scozzesi. Questo omone grande e grosso che dirige un settimanale a
Besancon e che ha arbitrato anche in Vietnam, ha fatto il Ponzio Pilato, lavandosene le mani.
Forse ha chiuso mezzo occhio sul secondo gol di Pruzzo che-se non sbaglio- si è un po’ aiutato con un
braccio sull’avversario. In compenso l’arbitro ha senza la minima esitazione annullato due gol a Bruno
Conti: il primo per fuorigioco; il secondo per un qualcosa che mi è completamenete sfuggito. Ho cominciato
dall’arbitro perché, con i tempi che corrono, la prima cosa da togliere dal campo è il sospetto. La Roma è in
finale con mezzi propri, riservando al Dundee lo stesso 3-0 inferto al Goteborg e alla Dinamo.
Ho visto in campo la vera Roma, Quella che non si sa bene perché non è riuscita a decollare in Campionato
consentendo a una Juve appena appena passabile di riprendersi fin troppo agevolmente lo scudetto. E’ la
Roma di Liedholm , cioè una squadra che improvvisa poco e ricorda quasi tutto.
Dopo qualche difficoltà nel mettersi in moto, dopo qualche affanno nel saldare difensori e attaccanti nella
zona nevralgica degli schemi, la Roma è uscita fuori con la pazienza della geometria. Ciò nonostante che il
vento non sia mai il vero alleato, nemmeno se ti soffia a favore fino a gonfiare la rete avversaria come una
enorme pancia di rana.
Il Dundee ha avuto in tutta la partita una sola possibilità di eliminare la Roma quando (al 18’) Dodds di testa
e Milde di sinistro hanno mancato un gol facile anche per dei ragazzini dei nuclei di addestramento. Dopo
questo allarme, non c’è più stato vero contraddittorio. In poco più di un quarto d’ora (dal 21’ al 38’) la
Roma ha ripetuto il blitz riuscitole contro il Goteborg, andando sul 2-0 dopo un gol annullato a Conti per
fuorigioco.
E’ stata la grande giornata di Roberto Pruzzo; prima ha girato alla perfezione di testa il corner di Conti; poi si
è lavorato il 2-0 giusto in mezzo all’area con savoir-faire da vero centravanti. Spalle alla porta, smorzando
con il petto uno spiovente di Maldera, Pruzzo ha tenuto…autorevolmente a bada l’avversario, girandosi a
battere con la rapidità, la coordinazione e la precisione di uno che ci sa fare ed è in forma.
Non so quale sia stata l’impressione dei telespettatori. Certo, nonostante la chiara supremazia, non è stata
una passeggiata perché la Roma si è trovata di fronte una squadra scozzese piazzata all’italiana. Il Dundee
ha fatto catenaccio, ha chiuso gli spazi, ha sistematicamente organizzato il mucchio nel tentativo di
chiudere i corridoi, soprattutto laterali, dove la Roma tentava di far partire a turno i terzini.
Alla faccia della “mentalità” offensiva alla quale gli stranieri non sarebbero capaci di rinunciare nemmeno
sotto tortura. Il Dundee ha mollato un’intera metà campo, senza riuscire nemmeno in qualche saltuario
contropiede. Il Dundee era tatticamente bloccato e nelle sue molte saltuarie uscite, rivelava una
sconcertante povertà di piede. Le punte non riuscivano a tenere l’azione nemmeno per pochi secondi.
Problema della Roma non era di aggredire, ma di pensare la partita. In ciò è stata pressochè perfetta. Dopo
il 2-0, l’intervallo le è servito a meditare l’ultimo affondo, stavolta retrocedendo di una ventina di metri,
quindi cautelandosi di più dietro e preparandosi a portare il KO in contropiede.
Vi è riuscita quando non era passata ancora un’ora di partita! A chiudere il risultato è stato un impeccabile
gesto di Cerezo che, lanciato a destra, dosava in tempo e in spazio il passaggio smarcante per Pruzzo. Al
portiere scozzese non restava che placcare il centravanti; a Di Bartolomei mettere in rete di piatto destro su
rigore, il 3-0 della finale, il gol più intenso della sua carriera.
Il resto, con le sue ultime inquietudini, i suoi tackle, i suoi cambi di panchina, i suoi rallentamenti, non
contava più. Nemmeno il 4-0 misteriosamente annullato a Conti. Cinquanta raccattapalle, prima
impegnatissimi a ributtare il pallone in campo in una frazione di secondo, ora faticavano a liberarsene più
che se avesse la pece addosso.
Una finale di Coppa Europa, la prima di Roma, si fa perdonare anche qualche trucchetto di borgata.