1984 Maggio 17 La prima coppa c è
1984 Maggio 17 – La prima coppa c’è: è della Juve
In una serata stupenda, con interminabili treni che lambiscono lentissimi lo stadio per cogliersi qualche
scampolo di finale, la partita comincia da Beniamino Vignola, il Rivera dell’Adige, purissimo prodotto del
vivaio veronese. E’ lui che dà l’impressione di aver già vinto la Coppa delle Coppe con un gol mancino di una
precisione e di una delicatezza rare, dopo nemmeno un quarto d’ora.
Vignola il puffo ha il fisico di un moscerino e dosi di classe inversamente proporzionali alla potenza. Riceve il
pallone poco oltre la metà campo e da lì comincia a sua passeggiata verso l’area del Porto. Quando
visualizza la linea bianca, lo vedo indugiare sul passo, toccare morbido, alzare la testa e prendere il tempo
della battuta. In diagonale, siamo ad una ventina di metri dalla porta, non è facile segnare anche perché i
portoghesi hanno preso 9 gol in tutto nelle 30 partite del loro campionato. Giocano a zona, sono sempre
piazzatissimi, hanno piedi e sono veramente bravi in tackle.
Vignola le sa tutte queste cose, però il suo sinistro ne sa di altre, non per nulla è un regista che(sull’esempio
di Platini) ha il dono del tiro e del gol. Ed è subito 1-0. Il portiere vede la sfera rotolargli sull’interno del palo
sinistro. La Juve comincia a vincere con sangue veneto.
La trovo subito una gran partita, una emozionante finale, per merito anche del Porto che, manovra alla
mano, è perfino più quadrato della Juve. Il Porto gioca più calmo, più ragionato. Nonostante il vantaggio
con Vignola, exploit del tutto personale, gli schemi del Porto sono un po’ meno veementi ma più ragionati.
Soprattutto all’inizio la Juve mi sembra tirata, forse silenziosamente corrosa dentro dal complesso di Atene,
la cronica paura di non riuscire ad esprimersi in Europa come in Italia. La Juve veste il giallo e il blu, i colori
della città di Torino, la città della Fiat e di Agnelli , dev’essere veramente seccata questa squadra di non
riuscire a trarre conclusioni altrettanto cosmopolite nel calcio.
Enzo Bearzot mi aveva detto ieri che sarebbe stato molto importante segnare il primo gol. Però non basta.
Dopo appena 7 minuti il Porto fa pari, con il rombante destro da venticinque metri della mezz’ala Souza. Il
proiettile rimbalza violento davanti al portiere Tacconi che si trova sulla traiettoria ma si vede superato da
quella maledetta sponda sul terreno.
Ecco la finale vera prende il via da questo momento, a squadre pari, ma sbloccate, liberatesi del tutto dalle
angustie anche psicologiche della prima mezz’ora. Il pareggio ci sta, è giusto, equilibrato. La partita si
accende anche negli scontri, che l’arbitro tedesco orientale, di pelo rosso, riesce a disciplinare con una
presenza costante sul luogo del delitto. E’ un vigilante a tempo pieno, che lampeggia minacce disciplinari a
ogni infrazione.
Ora le due squadre giocano a pieni giri. Il Porto accelera le azioni, mettendo a volte in grave imbarazzo una
difesa non esente da perplessità. La Juve si fa più profonda, dosando meglio gli spazi. E’ più compatta a
centrocampo e quindi riesce a lanciare meglio. Teorema all’italiana, il cui Pitagora è notoriamente
Trapattoni.
Boniek è l’uomo di questa ritrovata percussione centrale. Nel giro di un minuto il polacco prima si mangia il
gol su una portentosa uscita a vuoto del portiere, poi depone di destro il 2-1 nella porta vuota sfruttando
con occhio finalmente limpido un equivoco tra difensore e portiere. Costui corre indignato verso l’arbitro
ma giuro che non ho notato irregolarità alcuna.
E’ molto utile andare nello spogliatoio in vantaggio, lo sapete bene, ma il merito va nella circostanza
equamente diviso tra Boniek e Tacconi! Umbro di Perugia , occhi furbissimi e baffetti a 220 volts, questo
portiere ha perso qualche stravaganza e, sotto la libera docenza di Dino Zoff, sta imparando molte cose, in
arte e stile. A Basilea, al 43° si è superato su un colpo di testa di Gomes replicato dal destro di Pacheco. Una
doppia risposta prima acrobatica poi di piede da applausi, la miglior prodezza dell’intero primo tempo
assieme a un lancio siderale di Platini. Sull’intervento di Tacconi è iniziata ufficialmente, proseguendo dopo
l’intervallo, la partita difensiva e contropiedistica della Juve.
Come in alcuni moment decisivi del campionato, soprattutto nella partita scudetto di Roma, la Juve ricorre
ora alla chiusura tattica con momenti barricaderi della miglior tradizione catenacciara, si fa per dire. La cosa
è comprensibile per due ragioni. Il Porto non ha che una possibilità, accellerare tempi e schemi in forcing;
La Juve sa che, con avversari sbilanciati e furenti, il colpo d’incontro è una sua specialità che spesso ha
pagato con gli interessi. La Juve tiene troppo alla Coppa per darsi pena di accontentare gli amanti delle
belle e ariose serenate offensive. Così è se vi pare, Boniperti è un geometra che conosce Pirandello.
Il Porto se la prende un po’ con Boniek, pestato più volte ma molto disciplinato e cavaliere nel non reagire.
Anche se sta andando in barca, la Juve (al 55°) costruisce la possibilità del terzo e decisivo gol, non fosse
che qui l’arbitro mi pare faccia il portoghese. Pererira mette giù in area Platini, ma il crucco decide di
concedere la regola del vantaggio a… Brio! C’è una bella differenza tra Platini che calcia un rigore e un Brio
che va a concludere. Infatti, non succede nulla.
Il Porto le prova tutte, Toglie un centrocampista e ricorre ad un secondo attaccante atletico, l’irlandese
Walsh. Il forcing si fa intenso. Nell’area bianconera la mischia è la figura più frequente. Anche Platini
diventa mediano di mischia. La partita cresce di tono agonistico, cala brutalmente in peso tecnico. Anche
ciò è inevitabile. Mentre bellissimi pastori tedeschi pattugliano il lato lungo del campo, la partita non ha più
varianti. C’è un solo scenario, il Porto magnifico nell’aggressività, la Juve in bunker ad amministrare gli
ultimi sgoccioli europei. A cinque minuti dalla fine, Paolo Rossi servito magistralmente da Boniek, avrebbe
la possibilità di mettere dentro il 3 a 1 della mazzata. Rossi spara sul portiere, gli ruba il pallone, ci riprova,
niente. E mi pare giusto che finisca così, con un risultato secco, con la differenza di poco, perché il Porto è
più forte della sua fama e la Juve ha sofferto più di quanto si aspettasse. La scena finale dei quarantamila
l’avrete vista in televisione. Che cosa potrei aggiungere io ai vostri colori a ventun pollici ? La Juve dimentica
la maledizione di Atene, conquista la seconda coppa della sua storia, dopo l’Uefa del 1977, d’ora in poi può
dedicarsi alla preparazione dell’unico, ma ahimè più prestigioso, trofeo del calcio continentale: la Coppa dei
Campioni, che finora le è sempre incredibilmente sfuggita.
Il 2 a 1 di Basilea rimane sospeso tra il passato e l’avvenire. L’avvenire della Juve e il passato del calcio
italiano: il Mundial 1982 non è finito, continua. Auguriamoci che il 30 maggio, a Roma, questa bellissima
storia riesca ad aggiungere un altro capitolo