1987 febbraio 1 Autonomia non bottega
1987 febbraio 1 – Autonomia non bottega
Il ministro dell’Interno ha affermato che quasi mille Comuni si trovano finanziariamente ai limiti del
dissesto. Nella lettera a Craxi, Bernini definisce «insostenibile e caotica» la situazione della finanza
locale denunciando – a danno del Veneto – una sperequazione di 230 miliardi nei contributi dello Stato.
Sottosegretario al Tesoro e veneto quanto Bernini, Fracanzani precisa che gli squilibri nella ripartizione
pro-capite delle risorse non sono scandalosi come fino a qualche anno fa e che, guardando agli
investimenti oltre che alla spesa corrente, il Veneto sta ottenendo dallo Stato trasferimenti tali da
piazzarlo ai primi posti tra le regioni italiane. Anche Fracanzani pone tuttavia il problema di una
radicale riforma e del resto proprio il ministro del Tesoro Goria ha di recente dimostrato che esiste
anche una «questione settentrionale», cioè la penalizzazione finanziaria dei Comuni del Nord da parte
dello Stato. La questione non è veneta, ma generale e aldilà della dialettica delle cifre nasconde un
tema più grosso, di natura politica: l’autonomia. La quale, per essere razionale, non può limitarsi ai
progetti e alla spesa ma deve riguardare anche le entrate. A quarant’anni dalla Repubblica, molti
meccanismi della finanza locale si rifanno allo Statuto Albertino o alla legislazione fascista, mentre la
Costituzione in uno dei primissimi articoli «promuove le autonomie» e «adegua i principi e i metodi
della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». L’espansione della
democrazia passa qui, attraverso uno Stato non più solitario elemosiniere e invece garante,
modernizzando le leggi, di un’area impositiva direttamente gestita dai Comuni. Ciò per decentrare alla
radice il rapporto istituzione – cittadini non per camuffare la truffa di nuovi tributi, come già accaduto.
Gli ostacoli sono naturalmente più d’uno, a cominciare dal Potere dei partiti che non amano cedere
porzioni importanti di controllo del centro sulla periferia, per finire agli stessi amministratori locali che
spesso fanno prevalere calcoli elettorali di bassissima bottega: meglio scaricare l’impopolarità dei
tributi sullo Stato piuttosto che impegnarsi difronte al cittadini su un nuovo rapporto fra tasse richieste
e servizi offerti. La «marcia su Roma dei Comuni» rischia di ridursi a un assalto alle casse dello Stato;
può diventare il primo passo di una grande riforma del decentramento e delle responsabilità locali.
1 febbraio 1987