1988 dicembre 04 Storia di donna
1988 dicembre 04 – Storia di donna
Quando la violenza sessuale mette a nudo alibi e tabù
Maria Carla Cammarata è morta pochi giorni fa; era tossicomane e contagiata dall’Aids. Non ha fatto
in tempo a leggere giovedì la motivazione della sentenza con la quale la corte d’appello di Roma, lo
scorso novembre, mise in libertà i suoi tre violentatori dimezzando la pena di primo grado, da 4 a 2
anni.
Nel verdetto si legge: «La violenza carnale è risultata fortemente ridimensionata… la violenza fisica
esercitata sulla donna fu minima, anche a causa delle sue scarse risorse di difesa. Il dissenso della
donna fu inequivocabile solo nel momento in cui gli imputati passarono alle vie di fatto». Un
linguaggio agghiacciante, che riporta indietro ancora che il codice.
Maria Carla fu violentata davanti ai passanti in piazza dei Massimi, nel cuore di Roma. Era in preda ai
bulli quando fu soccorsa da un carabiniere in borghese; aveva tentato di resistere all’aggressione, ma
era troppo debole per reagire, troppo confusa per cavarsela. Aveva bevuto troppo, andava alla deriva
del vivere a due passi da piazza Navona, «lago chiaro e improvviso» del viaggio di Saverio Vertone.
In quelle condizioni, la violenza è doppia, tripla. Non soltanto la brutalizzazione dell’amplesso, ma
l’abuso della persona più indifesa. Qualcosa di peggiore della stessa violenza carnale perché qui
s’ingigantisce la sproporzione fra stupratori e vittima attraverso una dose di viltà in più.
Maria Carla, spiegano i giudici, aveva «scarse risorse di difesa». Non doveva rappresentare
un’aggravante per gli aggressori? Come ha potuto trasformarsi in attenuante? Un diritto che consente
tanto pregiudizio non può che essere malato, anacronistico, da cambiare.
Urgono leggi nuove, ma in Italia i problemi e il costume sorpassano di decenni la legislazione. Siamo il
Paese che più parla di riforme e che meno ne realizza, dove la classe politica arriva agli appuntamenti
sistematicamente in affanno, trafelata, al rimorchio della società. Qualcuno dice: ci vuole più società
meno Stato, ma il «rancore» della società oggi non consiste piuttosto nel (troppo) Stato della burocrazia
e nel (poco) Stato dei diritti?
Il primo diritto della donna è di non essere considerata un oggetto di carne. Troppi tabù accompagnano
ancora la sfera sessuale; troppa incultura circonda la femminilità; troppi equivoci s’accompagnano alla
violenza. Di fronte alle quotidiane cronache dell’abuso, una talvolta inconscia perversione maschilista
dà corpo all’idea che la violenza possa essere «provocata» dunque minimizzata. Paradossalmente, si
giudica la vittima più dello stesso carnefice; alla prima si chiede quasi conto del movente, per il
secondo spesso si sottintende l’alibi.
Da che mondo è mondo, la realtà supera la fantasia. Un giudice inglese ha prosciolto un uomo di 72
dall’accusa di atti di libidine violenta nei riguardi della figliastra di 12 anni avendo il magistrato
ritenuto che la malattia, e quindi l’indisponibilità sessuale della moglie dell’imputato, rappresentasse un
a decisiva attenuante. Anche se, «disapprovato» ufficialmente dal Lord cancelliere, il magistrato è stato
l’altro ieri costretto a dimettersi, il segnale che arriva dalla più garantista delle democrazie non può non
turbare.
Quanto alla sentenza di Roma e soprattutto alla sua motivazione, potremmo considerarla un episodio
isolato sul quale non costruire una casistica. Il timore è tuttavia un altro: che attorno a quel verdetto
s’identifichino un’area di ritardo della società, una discriminazione latente nel diritto, la difficoltà di
liberare la figura della donna da un a tradizione marginale.
La donna pensata al maschile è un arcaismo, incompatibile con la nostra sensibilità. Se non si esce da
questo mito, la violenza sessuale ci troverà sempre impreparati, a cominciare dai codici. «Ciò che parla
dai suoi occhi – scriveva Franz Kafka amando Milena – non è tanto al lotta del passato, quanto quella
del futuro». Potrebbe essere la lapide di Maria Carla Cammarata, violentata in piazza a Roma, senza
parole negli occhi.
dicembre 1988