1988 gennaio 27 Il caso Visentini
1988 gennaio 27 – Il caso Visentini
Ha chiesto ai partiti di contare assai meno nel Governo della Città ma ha fatto al fine di Luigi
XVI…
Costante Degan, 57 anni, padre di cinque figli, si è definito un «mite» nell’unica sera in cui mite non è
stato. Anzi, ha impedito all’una di notte un ennesimo rinvio e – preso atto del ritiro della candidatura di
Visentini dopo il disimpegno socialista – ha preteso per sé e per la Dc (17 consiglieri) un ruolo per la
prima volta scolpito, senza sfumature. In cui la mitezza non diventa pallore politico ma stile di un
uomo per bene.
Manzonianamente, Degan si affida ora alla «Provvidenza». Venezia ha un sindaco frutto di
ballottaggio, non ancora una giunta e nemmeno un orizzonte preciso, quello che i politici chiamano
«quadro». Il pentapartito non se la passa bene nemmeno a Roma, figuriamoci a Venezia dopo quattro
mesi di agguati, dove il baricentro del sistema, cioè il Psi, è oggi un puzzle non un gruppo in senso
stretto e dove la misurata opposizione dei comunisti di Pellicani esercita richiami tra socialisti o
attenzioni «istituzionali» nello stesso Degan.
Venezia mette a doppia prova il suo ceto politico perché la crisi dell’amministrazione s’inquadra nella
crisi della Città. E perché i problemi di Venezia & Mestre, problemi nazionali e veneti, restano troppo
grandi per piccole soluzioni. Degan è il primo a saperlo e a temerlo.
Venezia ha messo l’altra sera il dito su un’altra questione di straordinario interesse, questo sì
istituzionale nel senso più pieno del termine. A porla è stato Bruno Visentini. Lo hanno chiamato
sovrano, monarca, Luigi XVI («era un imbelle, mezzo impotente, ed è finito sulla ghigliottina!», ha
scherzato il professore, «almeno mi si paragoni a Luigi XVI…»), ma la sua proposta merita molta
attenzione, magari dissenso, certamente non folclore.
Perché, sia pure riferita alla «emergenza» che a Venezia sta sotto gli occhi di tutti, l’idea di Visentini va
dritta al tema di oggi, al richiamo di Cossiga ai partiti, alla unanime denuncia della partitocrazia, alla
riforma dei meccanismi che regolano il consenso popolare. Alla rivalutazione, anche, delle competenze
personali senza badare al partito né tantomeno alla corrente. Non una provocazione, ma una rivoluzione
nel metodo, questo sì; una «formula Venezia» come l’ha chiamata il nostro Leopoldo Pietragnoli.
Visentini ha detto testualmente: «Altro che decisionismo, in questo Paese vige l’assemblearismo, e
almeno il Governo ha gli strumenti del decreto-legge o del voto di fiducia. Qui nemmeno questi. Lo so
bene quanta fatica si faccia in una democrazia assembleari sta e sfilacciata, ma a Venezia io non
propongo di sciogliere i partiti: rispetto i partiti sarei un idiota a sottovalutarne la funzione; dico che un
conto è l’amministrazione e un conto i partiti. Tutto questo è difficile e molto labile? Sì, ma si può fare
un tentativo: e se mi fosse consentito, lo fare soltanto a patto di scegliere personalmente quanto di
meglio c’è in questo consiglio comunale. Non una giunta patteggiata tra partiti, non una giunta di
pentapartito né istituzionale: una giunta mia che nello scegliere le persone mette davanti a tutto
l’impegno amministrativo per la città, cioè una giunta senza trattare, con un limitatissimo programma
di cose importanti».
Di fronte a questa impostazione, i partiti si sono sentiti già commissariati, perché Visentini appariva
quasi un presidente del Consiglio su scala comunale che sceglie i suoi ministri, come recita la
Costituzione ma come più non si usa da quando vi provvedono le segretarie. Con le identiche
motivazioni per le quali gli aveva detto sì, il Psi ha detto no due ore dopo al professore: ma sarebbe
banale ridurre il caso in termini tattici.
Visentini ha in realtà provocato rispetto e sospetto, soprattutto disagio e rifiuto. Perché in fondo ha
brutalmente chiesto ai partiti di contare per due anni assai meno nel governo della Città. Se Venezia
insegna qualcosa a tutti, passerà qui il vero nodo delle riforme del Paese: sapranno i partiti emendare la
partitocrazia? Per averci provato, Visentini ha fatto la fine di Luigi XVI.
gennaio 1988