1989 ottobre 22 Tutta colpa del ministro
1989 ottobre 22 – Tutta colpa del ministro
Li avete sentiti i lottizzati delle Usl? Le corporazioni sindacali dei medici? Gli assessori regionali alla
Sanità? È tutta colpa del ministro De Lorenzo. Il quale, a sostegno del suo disegno di legge sulla
riforma della Sanità, va semplicemente denunciando quanto sanno da anni tutti gli italiani. Senza fare
di ogni erba un fascio, il sistema non funziona; dalle Usl vanno cacciati gli incompetenti della politica;
bisogna tagliare le unghie a quanti, e sono tanti, speculano sullo sfascio del sistema sanitario pubblico
per organizzarsi le lucrosissime convenzioni private («per dirottare – sono le parole del ministro – i
pazienti nelle cliniche degli amici»). È incredibile. Da anni e anni, i medici lamentano le interferenze
dei burocrati, l’umiliazione della competenza, la marginalità della professione rispetto alle scelte di
fondo. Ebbene, che cosa fanno le corporazioni quanto arriva finalmente un ministro medico che tenta di
restituire la Sanità ai medici e all’efficienza? Scioperano, confondendo contratto e riforma,
rivendicazioni e prospettiva. Così schierandosi di fatto dalla stessa parte di chi li ha sistematicamente
penalizzati e li ha messi, soprattutto i migliori, nella posizione più scomoda dell’intero sistema della
Sanità. Non tutte le Regioni sono uguali, e del resto nemmeno le Usl, tant’è vero che lo stesso De
Lorenzo ha ad esempio citato il Friuli-Venezia Giulia per la buona gestione delle risorse. Ma il risultato
complessivo non cambia, anzi peggiora di anno in anno, di ministro in ministro, di inchiesta su
inchiesta, di testimonianza su testimonianza. I meccanismi di controllo non rispondono a criteri
manageriali sicché, è l’ultimissimo caso di Padova, i revisori dei conti confessano di «balzare sulla
sedia» difronte alle cifre di certe «consulenze». La spesa cresce al centro e in periferia, i servizi calano:
a una paziente, in provincia di Treviso, può capitare di sentirsi raccomandare dall’aiuto di un chirurgo
un intervento di assoluta urgenza per rischio di paralisi, ma di doversi mettere in lista d’attesa per sei
mesi. Tutti denunciano tutto e tutti, medici, farmacisti, veterinari, ospedalieri, strutture e uomini. Ma
non appena un governo, raccogliendo nient’altro che il logoro testimone di almeno altri dieci governi,
tenta di passare dalla denuncia alla riforma, scappano tutti come lepri. Per un pretesto o per l’altro, il
ministro di turno non trova più un solo alleato. Almeno i politici e i burocrati sono coerenti. Difendono
l’osso con i denti; vanno in crisi di astinenza non appena sospettano che una poltrona venga loro sfilata
di sotto. Nonostante le nobili intenzioni di chi le concepì come strumento di responsabilizzazione
sociale, le Usl sono state letteralmente divorate dalla partitocrazia. Che ne ha fatto pura merce di
scambio di potere, «con intrecci e priorità che nulla hanno più a che vedere con la logica degli interessi
generali» come ha osservato ieri Giovanni Ferrara su «Repubblica» a proposito di spartizioni. A
Catania, all’assemblea dell’Anci, i sindaci italiani se la sono presa quando il ministero della Sanità ha
accusato i Comuni di «favorire le clientele». Anche questo è incredibile: e cioè che, all’alba degli anni
‘90, si neghi l’evidenza di una questione nazionale di prima grandezza, che va al cuore delle Istituzioni.
Vale a dire il servizio pubblico, in qualsiasi settore, da ricollegare al cittadino non al potere, al più
debole non al più furbo o al più parassita. La gente ha ormai capito il trucco dei finti progressisti.
22 ottobre 1989