1991 aprile 28 Reinventare la coscienza

Testata: GAZZETTINO
Edizione: PG
Pagina: 1
Data: 28/04/1991
Autore: Giorgio Lago
Tipo:
Argomento: OMICIDI
Persone: MASO PIETRO – ASSASSINO, TUROLDO DAVID MARIA
Didascalia:
Descrizione:
Titolo: REINVENTARE LA COSCIENZA. Se quello di Montecchia è un delitto sociale,
bisogna…
di Giorgio Lago

Caro David,
condivido la tua tristezza: i quattro giovani assassini di Montecchia di Crosara sono mostri o – come tu
temi – «i figli più logici, più sinceri, più coerenti al sistema di cui noi stessi siamo attori e protagonisti»,
a cominciare dal quarto potere dell’informazione? Il piacere del denaro lo ha spiegato al giudice, con
calma, Giorgio, 19 anni, commesso: «Ciascuno di noi aveva interesse a condurre in porto il delitto per
ragioni economiche». Pietro e Paolo avevano seminato alcuni debiti, firmato qualche assegno
avventuroso: il delitto era per loro una sanatoria e un investimento. Il minorenne D.B., 17 anni, aveva
bisogno di tre milioni per acquistare un campionatore di dischi. Un unico movente da Bancomat.
Dietro al quale non c’è raptus, schizofrenia, ossessione di un uomo o di un attimo come nel caso
dell’assessore pugnalato a morte a Trieste. C’era un’«idea». «L’idea – racconta Giorgio – era venuta a
Pietro», il figlio. «La maturammo a lungo, verso la fine del’90». Non delitto individuale, che sarebbe
più semplice liquidare con la teoria del mostro o del pazzo. Questo è un delitto sociale. Di gruppo: che
ne discute, parla, progetta, calcola rischi e benefici, pianifica agguato, tecnica, spranghe, colpi. Il
figlio che massacra i genitori può essere incoerente; quattro coetanei così unanimi nel movente e così
imperterriti nell’esecuzione debbono farci risalire a qualcosa che sta attorno a loro oltre che dentro.
Dove nasce tanta solidarietà, questo intendersi ad occhi chiusi sull’«interesse economico»? Sei
tristissimo, caro David, perché profeticamente avverti che un po’ di ciascuno di noi si aggira nei
dintorni. Quattro colpevoli; nessuno di noi assolto con formula piena. Oggi ci richiamiamo spesso alla
coscienza, voce misteriosa che parla dentro e che dovrebbe orientarci. Ma la coscienza – hai ragione tu
– è spesso un terreno «invaso» non coltivato, istigato non aiutato. Nel tempo del valore standard, del
sondaggio, dell’opinione media, la si ritrova più che mai sola. La civiltà di massa massimizza la
solitudine. Ciascuno viene riconsegnato a sé stesso, e vivere con sé stessi è l’esercizio più difficile,
soprattutto per i giovani. Si dice che hanno tanto, se non tutto. Ma proprio il criterio quantitativo li

spinge a volere coerentemente di più. Se il protagonista del «Processo» di Kafka si vede condannato
senza sapere perché, noi ci sentiamo innocenti senza spiegare perché. Innocenza e senso di colpa si
stringono assieme in un solo indefinibile malessere. Forse siamo troppo delusi per credere agli altri e
troppo confusi per rientrare in noi stessi. Nessuno sembra più capace di fermarsi; al massimo può
rischiare di scendere in corsa, nell’indifferenza del Potere. E questo potrebbe dire che non c’è scampo,
conclude la tua lettera. È vero, siamo consumati. Vendiamo oggetti e intanto ne sconsigliamo
l’acquisto; siamo i moralisti della nostra immoralità; maestri che confondono; custodi di spot e grandi
magazzini. Ma proprio tu, caro David, hai sempre dimostrato – fino allo scandalo dei timorati – che la
tristezza è un lusso e che persino la poesia può diventare un’arma per resistere e ripartire. L’autorità, la
fede, il principio, l’ideologia, il pensiero forte: hanno una lunga storia di intolleranza, di violenza, di
coscienze forgiate sui tabù e sulla paura. Oggi, contro il magistero della ferocia, dobbiamo rituffarci
dentro noi stessi, abituarci alla libertà. Reinventare la coscienza.
aprile 1991