1991 febbraio 8 Il prezzo da pagare
1991 febbraio 8 – Il prezzo da pagare
Senza Walesa, Gorbaciov, la caduta del Muro di Berlino e la strage di Piazza Tien an Men a Pechino,
Achille Occhetto non avrebbe fondato il Pds né tanto meno raccomandato di chiamare i suoi aderenti
tutto: fuorché «comunisti». Ma soltanto Occhetto poteva abrogare il Pci a 70 anni dall’atto di nascita.
Non poteva Ingrao, che in nome della continuità raccoglie un comunista su quattro. Non poteva
Napolitano, che nello schema di Palmiro Togliatti presidia la scomoda destra del partito per eccellenza
di sinistra. Napolitano ha l’aria del lord inglese; parla con la razionalità di un Amendola; detesta il
movimentismo; azzera quanto Cacciari la retorica del simbolo che entrambi avrebbero voluto far
sparire anche come superstite bollino all’ombra della quercia. Ragiona da liberal che ben presto intuì
nella crisi del comunismo il suo giudizio universale. Ingrao offre linguaggio nuovo a vecchi fantasmi,
dissimulando a mala pena l’eco degli anni Cinquanta. Il suo ossigeno resta l’ideologia; non gli basta
l’alternativa di governo, coltiva l’antagonismo al sistema. Il suo è comunismo Doc, settario, diverso,
pre-europeo; come ogni massimalismo, tende a piegare la storia non a organizzarla. Occhetto ha tentato
di frenare Napolitano e di convertire Ingrao. Pds non è ancora un partito né le sue sono vere e proprie
correnti: in realtà, il Pds rappresenta per ora un’emozione da dissolvimento; è un’idea più che un
progetto, in transito dall’utopia alla prassi. Il compromesso di Occhetto, che confonde pur di non
lacerare, è il prezzo salato da pagare tra un passato vissuto come una chiesa e un futuro da fondare sul
laicato della politica.
Di Togliatti, Benedetto Croce scrisse che era «totus politicus»; della carriera di Berlinguer si racconta
che Pajetta dicesse: «Giovanissimo, si iscrisse alla segreteria del Pci». Occhetto non ha né il carisma
del primo né la vocazione del secondo; nessuno lo immortalerà come discepolo del «Migliore» né gli
dedicherà slanci del tipo «Enrico ti amiamo». Ma Occhetto ha incontrato sulla sua strada il compito più
snervante: costruire su una sconfitta epocale; leggere i tempi nuovi dall’interno di un apparato per
definizione conservatore; cancellare anche le ultime impronte della cultura dello zoccolo duro, la stessa
che soltanto pochi decenni fa indirizzava all’«Unità» versi di militanti pronti a riconoscere a Stalin il
potere di anticipare la primavera. Lasciati i miti nel cassetto, vulnerati nell’identità, i post-comunisti
sono stati chiamati ad abbandonare la disciplina del centralismo democratico e hanno accolto alla
lettera l’invito. Se il Pci ieri era diverso, il Pds oggi diventa uguale. Achille Occhetto è stato vittima
non di un golpe, ma dell’azzardo di un onesto. E se ritorna da Capalbio a Botteghe Oscure, non dovrà
più commuoversi fino alle lacrime. Bocciandolo al primo voto, il suo Pds ha mostrato di avere il ciglio
asciutto. Si adegui.
8 febbraio 1991