1991 giugno 27 Golfo. Una lettera di De Michelis

Testata: GAZZETTINO
Edizione: PG
Pagina: 1
Data: 27/06/1991
Autore: Gianni De Michelis, Giorgio Lago
Tipo:
Argomento: GUERRA, IRAQ
Persone: DE MICHELIS GIANNI – POLITICO PSI
Didascalia:
Descrizione:
Titolo: GOLFO. UNA LETTERA DI DE MICHELIS
di Giorgio Lago

Caro Direttore,
definire, come nel tuo articolo del 16 giugno, un’inutile strage la guerra nel Golfo significa non soltanto
non cogliere il senso di un avvenimento così grave, significa soprattutto non capire il momento che
stiamo attraversando. Come ogni guerra, anche quella dei cento giorni ha prodotto lutti e distruzioni.
Ma non è stata una «avventura irresponsabile», anche se tutti, e non solo Gorbaciov, abbiamo cercato
di evitarla attraverso una lunga pressione politica ed economica su Saddam Hussein. Abbiamo dovuto
pagare un prezzo. Esso, e noi europei dovremmo comprenderlo meglio, non è troppo alto se è stato
necessario a restaurare la legalità internazionale ed a scoraggiare gli altri, più pericolosi disegni
destabilizzanti, in Medio Oriente ed altrove. Abbiamo dovuto scegliere tra l’accettazione passiva della
vecchia logica della sopraffazione o al contrario, il rispetto della carta delle Nazioni Unite grazie ad
una vasta coalizione. La guerra del Golfo ha posto le premesse per una diversa convivenza
internazionale, ben oltre il semplice diritto all’autodifesa e ben oltre il vincolo della non interferenza
negli affari interni di uno Stato. La legalità è stata ripristinata attraverso la solidarietà internazionale,
facendo valere la responsabilità dei Paesi e dei loro governanti, verso i loro cittadini ma anche verso le
loro minoranza. Questo molti lo hanno capito, anche i giovani che ho incontrato a Padova, con grande
equilibrio e maturità. La guerra ha cambiato anche le prospettive del conflitto araboisraeliano.
Consenso e sostegno all’iniziativa di pace del Segretario di Stato Baker scaturiscono dalle lezioni che
tutti hanno saputo trarre dal conflitto. Esse sono la consapevolezza che la giustizia e il diritto valgono
per ogni popolo ed ogni Paese; il fatto che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, fino a ieri rivali, sono
destinati (segue a pagina 2) Gianni De Michelis Ministro degli Affari Esteri
(seguito dalla prima pagina) a lavorare insieme se vogliamo un diverso assetto internazionale; che
arabi ed israeliani possono stare nella stessa parte; che la sicurezza degli uni e degli altri dovrà essere
affidata a strumenti diversi dal semplice equilibrio delle forze o dal possesso del territorio. Certo il

negoziato non è stato ancora avviato. Ma molta strada è stata percorsa nei mesi che ci separano dalla
fine delle ostilità nel Golfo e l’azione congiunta di tanti Paesi come della Comunità Europea andrà
avanti perché sorretta dalle certezze che ho detto. Sapevamo che, anche dopo il ricorso alle armi una
pace duratura non sarebbe stata semplice. Ma sapevamo anche che, se avessimo rinunciato all’uso della
forza essa sarebbe stata impossibile. Queste mi sembrano le considerazioni da fare, con sobrietà e
senza trionfalismi ma con la serenità di chi sa di aver percorso la strada giusta.
Gianni De Michelis
Ministro degli Affari Esteri

******* PEZZO ASSOCIATO AL PRECEDENTE *******

Caro Ministro,
forse io non capisco «il momento»; mi auguro che tu capisca i tempi e sia in grado di separare i crudi
fatti dal funambolismo delle idee. Dico questo perché; nonostante la competenza, non smentisci, né
potresti, nessuna delle mie osservazioni: Saddam al potere, curdi e sciiti massacrati, Iraq distrutto,
Kuwait in preda agli sceicchi, Israele sempre più intransigente, palestinesi alla disperazione, Bush
alleato del criminale Assad. Se questa è pace giusta… Una guerra diventata inevitabile anche per la
cecità e l’avidità del mondo industrializzato, si è trasformata in inutile strage. Su «Le monde
diplomatique», un generale della riserva dell’esercito israeliano, ex membro dello Stato maggiore,
Matitiahu Peled, scrive: «Il mese di bombardamenti dietro le linee del fronte è stato un atto di
vandalismo che non è sbagliato paragonare all’invasione dei mongoli nell’Iraq del XIII secolo. Non
c’era alcuna ragione strategica per distruggere ponti e strade nelle retrovie, né di privare la popolazione
civile d’acqua e di elettricità.» Certo, tutto nell’area mediorientale è straordinariamente complicato,
ma non crederò mai in una politica che, al di là della manipolazione propagandistica delle
multinazionali dell’informazione, resta di fatto neocoloniale nei traffici d’armi, nell’uso strumentale
delle alleanze, nel monopolio delle risorse energetiche. Se il comunismo è sepolto, anche l’Occidente
deve cambiare: per realismo se non per vocazione.

giugno 1991