1992 aprile 5 – Credere in ciò che ora non c’è

1992 aprile 5 – Credere in ciò che ora non c’è

Nell’ultimissimo libro “L’Italia che verrà” il gesuita Bartolomeo Sorge ha ricordato che l’attuale
classe politica italiana era già al potere “alla fine degli anni Quaranta, quando in Urss c’era Stalin,
negli Usa Truman; Giorgio VI era re d’Inghilterra, Mao Tse-Tung comandava in Cina; era Papa
PioXII”.
Con il suo bloc notes, sul settimanale “Europeo”, Giulio Andreotti gli ha risposto l’altro ieri che la
vocazione religiosa non sempre contempla la vocazione politica. Andreotti se la cava con una battuta
non perché sia diventato un monumento allo humor, ma perché si trova ogni giorno di più a corto di
argomenti.
Nessuno è abile, esperto, navigato, quanto lui; due spanne sopra tutti: Ha somatizzato l’idea stessa di
Palazzo, di partito, di curia, di potere, ma anche di populismo di borgata e di feudo popolare. Quando
poi, mollando Roma, si è candidato nel Nordest per le elezioni europee, ha preso a man basse oltre
mezzo milione di preferenze. Perché tutta Italia sa che, finché l’acqua del sistema rimane quella di 40
anni fa, Andreotti ci nuota dentro come Esther Williams! Il meglio del passato è lui; i suoi sette
governi fanno la storia di un Paese che – nonostante l’incessante evoluzione – ha dovuto imbalsamare
la politica fino alla caduta del Muro di Berlino.
Quel muro rovinò addosso anche a noi; se il mondo non era più lo stesso, a maggior ragione l’Italia,
il Paese più comunista d’Occidente.
Oggi, domenica 5 aprile 1992, testimoniamo un grande giorno di libertà. O, meglio, di libertà
arricchita. Fondata sulle scelte, non sugli incubi; sull’Europa, non sui blocchi.
Niente assomiglia più a prima: tutto ciò che si contrapponeva frontalmente ha perso il punto
d’appoggio. Anche l’anti-comunismo è rimasto vedovo, smarrito, nudo di progetto. Al riparo delle
ideologie, ci si poteva o scontrare o compromettere: franate quelle, 40 anni di politica vanno in
archivio con un paradosso soltanto apparente. “Vinti” e “vincitori” sono di colpo tutti superati dai
tempi.
Qui sta la crisi. Che non risparmia nessuno.
A sinistra, due partiti occupano lo spazio del vecchio Pci. Guardando a Rifondazione, Occhetto dice
“siamo noi del Pds i veri comunisti”; rivolgendosi a Craxi “siamo noi i veri socialisti”; mirando a
Cariglia “siamo noi la socialdemocrazia europea”. Non c’è trucco, piuttosto la sincera ferita di una
sentenza della storia e della ricerca di un ruolo tutto nuovo.
Una volta la Dc si contava per anime, secondo criterio di nobiltà, o per corrente, secondo
degenerazione delle prime. Oggi, per il richiamo all’”unità” si affida più che mai ai vescovi mentre
l’apparato tiene sempre meno. Leoluca Orlando se ne è andato per conto proprio; Segni ha fondato
un partito trasversale a miccia lunga; Cossiga ha restituito la tessera; coerentemente De Mita non si
arrende sulle riforme istituzionali; il mondo cattolico preme, nel nome del solidarismo cristiano e di
un portentoso volontariato, per una nuova soglia etica della politica.
Senza sblocco della democrazia, nemmeno i repubblicani si sarebbero potuti permettere lo strappo di
passare all’opposizione. Questo è un momento creativo, tutt’altro che semplice, ma foriero di crescita
civile, perché mette finalmente alla prova il meglio della cultura liberale, socialista, cristiana e verde.
Non esiste al mondo una democrazia che prima o poi non debba attraversare il Mar Rosso del
cambiamento, trovando sulla propria strada sempre gli stessi avversari; i conservatori e i qualunquisti.
I primi sequestrano il potere; i secondi sono i campioni della protesta ma non sanno da che parte
cominciare per porvi rimedio. I primi soffocano di troppo governo; i secondi si illudono di governare
in piazza.
Gli elettori sono chiamati oggi a un intervento di pronto soccorso, che servirà soprattutto ai partiti.
Quando un sistema stenta ad autoriformarsi, la spinta non può che venire dal voto.

Ciò che non hanno fatto in Parlamento e governo, torna di colpo nelle urne elettorali. Qui si
ricostruisce attraverso un voto severo con i candidati e sovrano nei confronti delle clientele e degli
apparati. Tutti i partiti hanno bisogno di un voto più esigente, più motivato. Ben sapendo che, in tanta
crisi di credibilità e con tanta voglia di buongoverno, siamo soltanto all’inizio di una svolta che a
medio termine muterà la faccia del nostro Paese.
Uno straordinario poeta russo consigliava di credere in ciò che dovrebbe esistere anche se per ora non
c’è. Limitare i danni della frammentazione e preparare la semplificazione della politica come
premessa dell’alternanza di governo: bisogna credere in ciò che per ora non c’è. Se vogliamo
provocarlo.