1992 febbraio 2 Il resto è inganno
1992 febbraio 2 – Il resto è inganno
La sera dell’ultimo giorno del 1991 Cossiga aveva taciuto o, meglio, magistralmente utilizzato tre
minuti in Tv per votarsi al silenzio. Un’esternazione senza sonoro, ma non per questo meno politica.
Con un mese di ritardo, e a due dalle elezioni, il Capo dello Stato rivela il non-detto. Sembra sincero
quando afferma di non voler interferire con il voto; ha quasi l’aria, per vezzo narcisistico, di non voler
buttare nel cestino una riflessione sulla quale aveva lavorato con cura.
Qui riappare il Cossiga che serve al Paese anche a mandato pressochè scaduto. Un Capo dello Stato
senza tic e strepiti che ragiona sui guasti e sulle potenzialità del nostro sistema. Questo Cossiga non
può essere “frainteso” da nessuno se non per partito preso, veleno che a minuscole dosi finisce con
l’esacerbare la dialettica a viso aperto su cui si fondano le buone democrazie.
Cossiga non fa che ribadire la richiesta più esplosiva che sale dall’opinione pubblica: “una vasta e
coraggiosa riforma, presto e bene”. Una riforma che, per far funzionare la disastrata macchina
dell’amministrazione pubblica, deve a nostro avviso drasticamente riequilibrare gli stessi poteri fra
Stato, Regioni e Comuni.
Pur non inventando nulla, Cossiga avverte anche che giocare come ai vecchi tempi sulle parole
“destra” e “sinistra” rischia oggi di mummificare il cambiamento. Le parole richiedono coraggio,
purezza d’animo; abbiamo la nausea dei significati doppi e tripli, dei pasticci sistematici.
Noi non crediamo che si possa spegnere alla leggera il televisore quando Cossiga batte certi chiodi.
Perché questo è davvero un “momento magico”, come l’ha definito. Un momento in cui i travestiti
della politica fanno autentici miracoli per restare a galla con la loro mediocrità, l’arrivismo, le ruberie,
i privilegi e le bugie. Ma il momento magico, per far esplodere tute le contraddizioni di un sistema
da ricostruire, non da correggere. Questo è il punto; il resto è inganno, paura compromissoria,
incapacità di cogliere il nuovo.
Perché sono terrorizzati dai referendum, dall’appello agli onesti, dal patto che anteponga la fedeltà
verso le riforme alla disciplina di partito? Perché, visti dai bunker della partitocrazia e degli affari,
appaiono come tanti lampi rivoluzionari.
Ma dovranno farci il callo. Il 5 aprile e ben oltre.