1992 febbraio 29 L’aulica strada
1992 febbraio 29 – L’aulica strada
Ci sarà molta confusione sulle ricette per curarla, ma almeno la diagnosi è certa: la crisi del Sistema
Italia riguarda il rapporto tra cittadino e Stato; del cittadino con le Istituzioni, con la politica, con
l’amministrazione pubblica, con i servizi attraverso i quali si snoda o s’ingolfa la vita quotidiana di un
tizio qualunque. Siamo arrivati al punto che, a contatto con le innumerevoli realtà in cui si manifesta lo
Stato, il cittadino annulla ogni sfumatura: quando la macchina statale funziona, se ne stupisce fino allo
sconcerto; quando produce disservizio, ne ricava insofferenza mista a ineluttabilità. Di fronte a una
crisi come questa, le risposte oggi più in voga sono due. La prima: visto che l’Italia così com’è non va,
spacchiamola in due o in tre sperando che almeno qualche pezzo funzioni meglio per conto proprio. La
seconda: siccome i partiti hanno fatto l’impossibile per diffamare la politica, inventiamoci altri trecento
simboli, applichiamo il fai da te del consenso popolare, trasformiamo la protesta in movimenti di solo
impotente rifiuto. L’aria che tira è questa, di frammentazione del territorio e di polverizzazione del
voto. Risposte disperate a un malessere che arriva da lontano se è vero che già cinque anni fa l’84%
degli italiani interpellati giudicava incapace e disonesta la classe partitocratica. Meglio tardi che mai, a
cinque settimane dalle elezioni i partiti fanno atto di contrizione. Si appellano alla «gente», confessano
molte colpe, s’impegnano ad accelerare nella prossima legislatura le riforme sabotate o dimenticate
nella passata. Noi crediamo che, ancor prima degli aggiornamenti istituzionali, il vero banco di prova –
una riforma per così dire preventiva alla quale dare precedenza assieme alla questione morale – debba
essere il potenziamento dell’autonomia delle Regioni. È anche storicamente inconcepibile che uno
Stato burocratico e inefficiente continui a ostruire l’unica strada davvero europea: quella del
decentramento e della responsabilizzazione di tutti i soggetti pubblici.
A metà del secolo scorso uno studioso definiva l’Italia «un guazzabuglio di popoli, di Stati, di
istituzioni e di signorie buttati lì dal caso». Soltanto Regioni più forti potranno sfruttare la ricchezza di
quel «guazzabuglio» senza far pagare i costi tuttora altissimi di quel «caso» nazionale.
29 febbraio 1992