1992 gennaio 16 Per conto terzi

1992 gennaio 16 – Per conto terzi

Nell’estate del 1990 la Commissione parlamentare stragi consegnò un rapporto di 168 cartelle basato
su 30 mila fogli di documentazione: erano passati dieci anni dalla sera in cui un DC9 dell’Itavia sparì
dal radar con 81 persone a bordo. La Commissione scriveva testualmente: “Oggi si può cominciare a
chiedere conto di quei comportamenti che all’interno della pubblica amministrazione hanno così a
lungo ostacolato la ricerca della verità”.
Le tredici comunicazioni giudiziarie inviate ad altrettanti alti ufficiali dell’aeronautica militare
italiana dimostrano tre cose: 1) nel nostro Paese le inchieste procedono con una lentezza esasperante;
2) nel caso Ustica c’è chi ha scientificamente lavorato perché gli accertamenti risultassero ancora più
lenti o addirittura vani; 3) un magistrato finalmente incisivo restituisce all’opinione pubblica almeno
la certezza che non ci si è arresi. Molti degli alti ufficiali inquisiti sono in pensione; importante è che
non vada per sempre in pensione la verità.
Non ci sono ancora né processi né colpevoli, ma le ipotesi di reato sono gravissime, dall’attentato
contro l’attività del Governo all’alto tradimento e alla falsa testimonianza. Allora, che senso ha il
comunicato nel quale l’Aeronautica si dichiara “solidale” con gli inquisiti, così come ha fatto l’Msi
con il solito automatico presentararm?
Qui ci sono nomi e cognomi, con relative cariche, di fronte a un giudice che tenterà di accertare
responsabilità personali e/o di carica. Non è in discussione l’arma aeronautica e nuoce alla democrazia
tirare ogni volta in ballo la fedeltà alle Istituzioni e l’onore quando si devono tutelare valori più alti,
come la giustizia, la lealtà degli apparati, la memoria delle vittime e il rispetto per i familiari. Non è
oggi più vicina la verità su quel 27 giugno 1980; si sta probabilmente avvicinando la verità su che
cosa è accaduto dopo. Ma questa verità è la premessa di quella; non si possono separare l’una
dall’altra perché una sola cosa appare finora sicura su Ustica: le bugie, gli omissis, i depistaggi.
Intervistato lunedì scorso da Igor Man per “La Stampa” il numero due libico Jallud ha dichiarato:
“Nessun giudice italiano si è degnato di venire in Libia e, quando un nostro altissimo magistrato il
dott. Kadiri della Suprema Corte venne a Roma per proporre ai vostri inquirenti di collazionare i
vostri e i nostri atti, si sente rispondere: “ci riserviamo di decidere”. Stiamo ancora aspettando”.
Dopo anni e anni, sopravvivono piste inesplorate e radar ciechi che soltanto l’amore dei familiari, il
puntiglio della Commissione stragi e la grinta del giudice Priore non hanno abbandonato. Lo stesso
ammiraglio Martini, responsabile dei Servizi segreti dal 1984, ha denunciato con coraggio il muro di
disinformazione alzato da paesi come la Francia o gli Stati Uniti sull’ipotesi di un missile sparato da
un jet in missione nel Mediterraneo.
E’ sconvolgente la sola ipotesi che l’Italia abbia complottato contro la verità. Vittima e complice per
conto terzi.