1992 gennaio 24 Cossiga III

1992gennaio 24 – Cossiga III

C’è stato il Cossiga I. al quale un bel libro di Edoardo Pittalis e Alberto Sensini dedicò quattro anni
fa questo titolo: “Il gusto della disgressione”. L’ultima pagina ricordava la risposta del Presidente a
una domanda postagli nell’87 subito dopo il crollo della Borsa: “Non debbo dare consigli in questa
materia – rispose il Capo dello Stato – commetterei un’ingerenza. Non debbo andare un passo più in
là delle mie prerogative”.
In una fase della vita italiana in cui i più attenti osservatori già coglievano le crepe della partitocrazia
e i segnali della protesta di massa, quel Cossiga a noi sembrava fin troppo discreto. Formalmente
inattaccabile, politicamente inutile. Non abbiamo infatti mai pensato che il ruolo al di sopra delle
parti equivalga ad avere al Quirinale un Presidente inerte, spettatore, custode dello sfascio, garante
della decadenza, refrattario ad esercitare – nello spirito autentico dell’unità nazionale invocata dalla
Costituzione – ogni richiamo anche energico ai valori della democrazia e della politica.
In questo senso, pur avendolo spesso attaccato su singoli interventi (i Massoni in Magistratura, i
patrioti della P2, Curcio eccetera), abbiamo senza la minima esitazione appoggiato Cossiga
ogniqualvolta le sue esternazioni, al pari delle frustate di Pertini, arrivavano al cuore della crisi: cioè
inchiodavano la resistenza ad ogni riforma, lo svillaneggiamento della protesta popolare, la
corruzione del potere, la trasformazione della democrazia in oligarchia.
Il Cossiga II risultava assai meno rituale, ma infinitamente più incisivo impedendo che le sue
Istituzioni perdessero persino quella formidabile occasione di rinnovamento rappresentata dalla
caduta del comunismo e dalla fine dei blocchi sia internazionali che interni. Il furore riformista di
Cossiga era lontano secoli dalle “prediche inutili” di un Luigi Einaudi o dall’aplomb risorgimentale
di Spadolini, ma ha tenuto il ferro rovente proprio quando il nostro Paese confronta con l’Europa sia
i prodotti che i servizi pubblici e la qualità dei Governi.
Rifiutando gli schieramenti pregiudizialmente pro o contro Cossiga, i presunti partiti trasversali o le
mai dimostrate congiure della stampa, noi pensiamo che sia stata non di rado provvidenziale anche
l’ingerenza per così dire “storica” del Cossiga II. Quando ha disseppellito gli scheletri del ’48,
rivendicando le responsabilità di Gladio, evocato le ambiguità del terrorismo, contestato poteri
assordanti come ad esempio il Csm, il Capo dello Stato ha favorito con le maniere forti la fine dei
tabù, dei minuetti e degli equivoci che ci accompagnavano da decenni.
Ma c’è anche un Cossiga III, campione né della vecchia discrezione né del nuovo riformismo. Un
Cossiga che vive i rapporti con il suo partito, la Dc, come una ossessione privata prima che politica,
del tutto avulsa dai veri problemi del nostro Paese. Un Cossiga che da democristiano tradito,
moltiplica i bersagli personali fuori e dentro la Dc senza sacrificare nemmeno un epiteto, neanche
una sillaba al più delicato appuntamento elettorale dal ’48 ad oggi.
Questo Cossiga III è deleterio quanto benemerito era il Cossiga II. Non serve a nessuno, nemmeno a
lui.