1992 luglio 18 Padova dilaga lo scandalo

1992 luglio 18 – Padova dilaga lo scandalo

Siamo andati a rileggere in questi giorni le lettere scambiate nel 1922 tra Giuseppe Prezzolini e
Piero Gobetti, sulle pagine di “Rivoluzione Liberale”. Con il fascismo alle porte, riflettevamo il
dramma di un tempo di svolta, di passione politica e di pessimismo.
Prezzoli proponeva a Gobetti, che esule e perseguitato morirà a 25 anni, di raccogliere questi spiriti
liberi in una “Congregazione degli Apoti”, cioè “di coloro che non la bevono” contro l’abitudine
generale a berla. Il giovane ideologo del liberalsocialismo gli rispondeva: “Noi non abbiamo
nessuna smania di costruirci in ordine chiuso anzi vogliamo essere più aperti che mai e l’inventario
si farà fra cent’anni; i frutti li raccoglieranno gli altri”.
Senza strafare e senza voler mischiare cose dell’altro mondo, su qualcosa di utile possiamo
meditare. Perché oggi sta crescendo il numero di “coloro che non la bevono”, e che si sono stancati
di dare per assodato che ciascuno di noi debba pagare in busta paga o sul frutto del proprio lavoro la
tassa propria imposta dai mandarini della partitocrazia. Paghiamo un prezzo economico e, insieme,
la rovina della politica: quella che non sappiamo come presentare ai giovani.
Noi non lo sappiamo, ma lo sapeva Gobetti, con una lezione cui basta aggiornare soltanto la data.
Se credi ancora in qualcosa, guarda lontano, a costo che i “frutti” li raccolgano altri, persino dopo di
te, nel tentativo di costruire qualcosa che meriti e duri.
Non la beviamo più e non abbiamo paura del futuro. In democrazia, il cambio del ceto politico è
tanto di ossigeno. Senza quello si soffoca.
Senza ricambio e senza riforme, il nostro Paese è oggi costretto a punire una classe di potere che
non ha ritenuto di doversi spontaneamente pentire di nulla. Sta tutto qua il sostegno che l’opinione
pubblica dà al lavoro dei giudici.
Viviamo tutti insieme nella speranza che la visibilità della corruzione aiuti il sistema a restaurare il
principio di legalità. Perché, se passasse l’idea che rubare per il partito o per la corrente o per farsi
la campagna elettorale o per organizzare il controllo del consenso fosse politicamente lecito,
finirebbe con l’estinguersi l’idea stessa dello Stato. Sulle opere pubbliche non c’è furto e furto; c’è
furto e basta.
Le nuove, invocatissime regole nascono qui, oggi, nell’intransigenza della “legge è uguale per tutti”
non nell’intestino opaco di un Paese che fino a ieri non poteva perché non aveva alternative.