1992 novembre 22 Un attacco nuovo di zecca

1992 novembre 22 – Un attacco nuovo di zecca

Una volta parlava dal Quirinale, in una posizione di forza, e poteva anche abusare del potere di
esternazione. Oggi partecipa all’”Istruttoria” di Giuliano Ferrara come un qualsiasi senatore, ma il
risultato non cambia: lo rendono un gigante in mezzo ai nani. Perché Francesco Cossiga è puntiglioso,
preciso, coerente. Anche nel dissenso, sentiamo che si può contare su di lui per favorire la fine di un
sistema bugiardo.
Cossiga non è un uomo nuovo; viene dal passato con qualche idea nuova. Ha dei principi; condivisi
o no, conta pochissimo. Oggi è molto più importante distinguere chi ne ha e li difende da chi non ne
ha mai avuti e ha sempre deriso quelli altrui. Qui passa la vera distinzione fra decrepitume e
riformismo.
In una intervista di Alberto Statera sulla “Stampa”, Gianni De Michelis non ci sta. Il suo teorema
suona così ed è molto popolare nei fortini del Potere: l’unico innovatore è Bossi, tutti gli altri sono
“gattopardi e voltagabbana”; Bossi va combattuto perché il suo “brodo leghista” porta l’Italia verso
“le cose cupe del passato”, i Segni i Martelli, La Malfa eccetera sono anche peggiori perché la loro
logica è “levati tu che arrivo io”.
Fantastico! Adottando questo gioca ad eliminazione si otterrebbe un risultato storico: i soli titolati a
ricostruire la perduta credibilità sarebbero, non tanto i figli della protesta, ma addirittura i nuclei
centrali della partitocrazia, gli uomini più asserragliati nel Palazzo, le segreterie e gli apparati, i
capicorrente e i finanziatori occulti delle tessere.
Un trucco vecchio e risaputo, dirà qualcuno. No, anzi, è un attacco nuovo di zecca, un tentativo di
restaurazione in pieno svolgimento in questi giorni.
Basti pensare all’accanimento con il quale l’ex-ministro Carlo Bernini tenta di evitare
l’autorizzazione a procedere per sottarsi al giudizio: scelta legittima sul piano formale quanto
squalificante su quello politico. Basti riflettere sulla manovra che ha fatto passare da golpista il
giudice Ivano Nelson Salvarani soltanto per aver sostenuto che non la magistratura bensì il voto
popolare può rigenerare la nostra democrazia.
Abbiamo a che fare con un intreccio di interessi spaventoso, che fa perdere la testa a chi lo sente
minacciato. Guai se i riformisti sinceri o convertiti finissero con il deludere e demotivare le aspettative
di un’Italia che rischia il peggio soltanto se resta così come l’ha conciata.