1992 settembre 17 In un colpo solo
1992 settembre 17 – In un colpo solo
Il Parlamento ha troppo potere. Il Governo troppo poco. Entrambi sono alla fine impotenti perché si
consegnano mani e piedi alla partitocrazia. O, ad essere più precisi, alle segreterie.
Contro questo Palazzo di mummie senza futuro, Cossiga bombardò per un paio d’anni urlando che o
si facevano le riforme o sarebbe stato il caos. Bisognava a tutti i costi riequilibrare quella malsana
spartizione tra Parlamento e Governo.
Non hanno mosso un dito né Andreotti né Craxi né Forlani. La protesta del 5 aprile ha condannato il
primo, le tangenti socialiste il secondo, l’insussistenza il terzo. Ma senza il crollo del consenso e il
lavoro dei giudici, sarebbero ancora tutti in sella, addirittura al Quirinale e a Palazzo Chigi, in regime
di comunione dei beni.
Direte: sulle scene ci sono ancora. Si, certo, ma manca loro il pubblico. Il pubblico che paga guarda
ormai dall’altra parte.
Il consuntivo degli ultimi quattro anni è questo. La sola riforma fu varata da un referendum popolare.
L’onesta presidenza Scalfaro è figlia di un trauma nazionale. Pur elettoralmente sconfitto e
politicamente defunto, il quadripartito esprime il governo. Non esiste l’istituto delle dimissioni.
Forlani si dimise da segretario della Dc e subito ci ripensò. Nemmeno la valanga del finanziamento
occulto ha consigliato Craxi a farsi da parte. E il ministro delle finanze Goria opta per una bella
vacanza in Tanzania mentre il contribuente italiano, al limite della sopportazione, era chiamato nel
periodo delle ferie a una raffica di ordini e contr’ordini fiscali da Repubblica delle banane.
Quest’anno per sostenere i costi della riunificazione, la Germania ha consigliato ai tedeschi di ridurre
al minimo le vacanze all’estero. Nell’Italia degli sperperi, delle cicale, dei ladri e degli evasori
sistematici, queste avvertenze sembrano non riguardarci: il Paese di Bengodi spende e spande oltre
le possibilità economiche reali avvallando alla fine tagli immorali come quelli che potrebbero colpire
domani nella sanità le famiglie con reddito annuo tra i 20 e i 35 milioni. Ma chi, se non proprio i
governanti, debbono dare all’opinione pubblica esempi di sobrietà, di sacrifico e di efficienza?
I governi esigono la pienezza dei poteri, ma l’Italia non ne ha ancora uno che se li meriti. Amato li
pretenderebbe di fatto, alla spicciolata, ora che tocca con mano i guasti che anche il suo partito ha
provocato dimenticandosi delle riforme.
Il “dottor sottile” è sempre stato sottobraccio a Craxi, persino la notte dell’attacco – mai più chiarito
signori della segreteria del Psi! – al giudice Di Pietro. Quando Amato insiste per tre anni di mano
libera sull’economia, qualche precauzione diventa quindi legittima: non ci sarà anche la tentazione di
perpetuare equilibri posticci e caste oramai da cacciare via?
Se la bufera monetaria investe tutto il mondo, quella politica ha il suo epicentro in Italia. Oggi la lira
fotografa anni di malgoverno e di incoscienza; siamo i più esposti perché strutturalmente i più deboli.
E le misure più forti sono affidate in queste ore a un Governo che viene dal vuoto. Anzi, per paradosso
dei paradossi, la sua cosiddetta forza consisterebbe per l’appunto nel discredito delle segreterie che
lo sostengono.
Attenzione, perché questa è una strada senza uscita. La crisi italiana ha accelerato tutti i tempi e tutte
le coincidenze. I decreti da centomila miliardi sono un atto dovuto, legittima difesa pura e semplice
dinnanzi alla bancarotta. Ma non si può inventar un’economia, nemmeno d’emergenza, senza una
politica, un consenso, una credibilità, un governo rappresentativo.
Domenica sera al Tg1, l’apparizione di Amato è stata in questo senso drammaticamente istruttiva. Il
capo del Governo raccontava una sconfitta con i toni giulivi della vittoria, percorreva ancora una volta
la strada degli autoinganni di un ceto politico da troppi anni prigioniero delle parole ma non più
capace di comunicare.
Il sistema è molto più svalutato della stessa lira. L’economia non ha più un solo minuto da perdere
perché abbiamo perso i questi anni l’arte di rinnovare. E oggi ci ritroviamo con un cumulo di ferri
vecchi da buttare tutti in un sol colpo.
Visto che a un severo destino non si può sfuggire, meglio rimboccare le maniche e fare alla svelta. Il
nuovo non fa paura; può soltanto aiutarci ad avere finalmente coraggio.