1993 giugno 18 Protesta ancora necessaria

1993 giugno 18 – Protesta ancora necessaria
Gli italiani sono sempre stati carenti di «senso dello Stato», una storia molto lunga, tutt’altro che
banale. Storia di Comuni e di Signorie, di dominazioni straniere («Francia o Spagna purché se magna»,
era il motto romanesco). Un Paese dove, al contrario che in Europa, l’unica monarchia assoluta era
rappresentata dalla Chiesa cattolica temporale. L’Unità cavouriana fu già un miracolo, capolavoro di
diplomazia e di élites. Ma le oligarchie liberali non riuscirono mai a dare sangue davvero popolare a
quella prima intuizione dello Stato come luogo del cittadino. Il fascismo mise la camicia nera alla
burocrazia dell’Italietta borghese e si convinse di aver realizzato la sua rivoluzione. Quando il fascismo
franò su se stesso, la macchina dello Stato conservò le mezze maniche. Centralista, romana,
ministeriale, ipertrofica. Da oltre un secolo, la riforma dello Stato è la grande assente della storia
italiana. Il «senso dello Stato», come sintesi della collettività, è tuttora minoritario. Non solo:
l’inefficienza e il malaffare hanno negli ultimi 15/20 anni esasperato lo svuotamento di tutto ciò che
può definirsi genericamente «pubblico». Non esiste questione più devastante di questa, come dimostra
il capitolo fiscale. Il 740 & affini diventa simbolo di uno Stato che ha introdotto una nuova perversione:
fa di tutto per farsi odiare. Premessa di qualsiasi sbocco. Fin dall’800 gli economisti inglesi
sostenevano che non si può tassare la gente senza essere credibili. E a metà degli anni ‘50 Luigi
Einaudi predicava che, «per la buona distribuzione e la ragionevole produttività delle imposte», non
esiste riforma migliore della «istituzione di scuole tributarie». Predica naturalmente inutile: chi si
preoccupa di formare i funzionari, di dare rango all’amministrazione, di disboscare una legislazione
che sta uccidendo tutto, fiducia, Stato sociale, servizi, equità? No, la protesta non è finita. È appena
cominciata e resta la sola arma. Anche ciò che ha fatto questo Parlamento nell’ultimo anno, è frutto del
terrore del 5 aprile.
18 giugno 1993