1993 giugno 20 Ciò che conta

1993 giugno 20 – Ciò che conta

Si vede che Gianni Riotta arriva dagli Usa. Così essenziale, pulito, il giornalismo che va al sodo
senza montare in cattedra.

A “Milano, Italia” ha ospitato Formentini e Dalla Chiesa, ponendo a entrambi la stessa domanda. “Il
prossimo sindaco sarà migliori di quelli che c’erano?”.

Senza esitazione, Formentini gli ha risposto: “Si, un sindaco migliore, chiunque sia dei due”. E
Dalla Chiesa: “Dal punto di vista dell’efficienza e dell’onestà personale sì”.

Il botta e risposta a noi ha fatto colpo. Per dire che, nonostante lo sfibrante guado, l’Italia comincia
a intravedere l’altra sponda.

Il nuovo ha poco o nulla da spartire con i cicisbei del “nuovismo”; gli “ismi” sono l’uno più
stucchevole dell’altro anche perché la politica li imbalsama in fretta. Ciò che vale è la freccia, la
direzione di marcia, quelle due risposte in grado di riconoscere che l’avversario diretto di oggi
rappresenta in ogni caso un passo in avanti rispetto ai clan di ieri.

La rottura con il passato risulta di per sé virtuosa quando la continuità rimane l’ultimo
camuffamento del sistema e del suo Parlamento. Ma la stessa Lega Nord – primo soggetto politico
ad essere approdato alla seconda Repubblica – deve sapere che nelle democrazie moderne la partita
si gioca o si perde governando. Con un termine di sapore sportivo utilizzato da Gianfranco
Pasquino, è una questione di “rendimento”; abbiamo urgenza che l’amministrazione, lo Stato, il
ceto politico migliorino di molto le prestazioni. Tutto qua.

Le tempeste del prof. Miglio o certe raffiche di Bossi danno volume ai titoli di giornale, non sono
soluzioni. Anzi, rischieranno di diventare folklore, grandguignol, gergo.

Era la Dc il partito centrale di sistema. Morto il sistema, quella centralità non esiste più, ma non per
questo la politica ha smesso di convogliare verso il centro le forze che, dall’area moderata o da
sinistra, puntano a governare o a candidarsi alla futura, prima, vera alternanza dal dopoguerra a
oggi.

A Milano, Formentini intende occupare questo centro, misurando la Lega Nord con la realtà
infinitamente meglio di Bossi quando storpia il nome di Dalla Chiesa in “Dalla Cosa Nostra”. Le
sfide di un ceto politico da inventare riguarda tutti, senza eccezioni. I partiti, perché troppo vecchi;
la Lega perché troppo giovane.

Per ricominciare il cammino, i partiti dovranno ripudiare intere generazioni di potere; per
raggiungere il traguardo, la Lega dovrà accelerare la selezione di classe dirigente. Il resto è
propaganda, destinata a evaporare sotto la spinta dell’economia, del fisco, della pletora di leggi, di
una burocrazia che il Parlamento delle clientele ha semmai corrotto mai riformato secondi i
parametri europei.

Fin dagli anni ’80, il Nordest non era una nostra chimera geopolitica; rappresentava un’area di
segni, di sussulti, di cambiamento, di rancore appena trattenuto. Il Lombardo-Veneto ha esaltato
l’istinto a guidare la protesta, la fuga dalla partitocrazia, lo sbocco verso uomini e forze emergenti.

Il 5 aprile è stato il nostro muro. Oggi si vota, e così sarà fino al 1995, per dare altri nomi e cognomi
a un tenace, aperto, aspro, insidiato processo di trasformazione.