1994 Dicembre 11 Regole e vendette
1994 Dicembre 11 – Regole e vendette
Appena eletto il parlamentare rappresenta gli interessi dell’intera collettività non chi lo ha votato.
Tutela l’intero Paese, non i suoi elettori.
Pochissimi lo sanno, ma la nostra Costituzione dice esattamente questo. Il “mandato” di un
parlamentare non è “vincolato”: l’interesse dello Stato e il bene del Paese prevalgono sulle stesse
aspettative dell’elettore.
La conseguenza è elementare. Non sta scritto da nessuna parte che una maggioranza uscita dal voto
abbia un destino blindato: o quella o si torna a votare, rendendo impossibile qualunque dialettica
parlamentare. In tal senso, i Giuda del voto popolare sono pure invenzioni polemiche.
Siccome non siamo nati ieri, sappiamo però che un conto è la lettera della Costituzione un conto la
realtà politica in un momento di poderosa trasformazione. Se formalmente si può benissimo
cambiare maggioranza senza tornare alle urne, non è un’operazione bella a vedersi.
In un’Italia che ha un bisogno tutto particolare di ridare dignità alla rappresentanza. I salti della
quaglia andrebbero evitati. Sulla carta si può, nella sostanza ripugnano.
Di ciò si fanno forti Berlusconi e Fini quando dicono a Bossi: se te ne vai torniamo a votare.
Invitando Berlusconi a riequilibrare Fini con Buttiglione al governo, Casini lancia una proposta
legittima, coerente con il suo centrismo di sempre, ma un po’ temeraria rispetto alle alleanze dello
scorso marzo. Sarebbe elegante chiedere a quel punto agli elettori che cosa ne pensano, o vogliamo
ridurre il “popolo sovrano” ai sondaggi con mille intervistati?
Il cambio di maggioranza in corso d’opera imbarazza per disinvoltura anche chi se ne
avvantaggerebbe. Nasce da questa difficoltà l’idea del “governo delle regole”, un limbo
istituzionale. Non un nuovo governo politico, ma un assemblaggio del tutto transitorio per preparare
con le riforme il decisivo confronto elettorale tra centro-sinistra e centro-destra.
Come dire: mettiamoci assieme per uscire dall’attuale Far West, poi contiamoci con due
schieramenti nuovi di zecca. Vedremmo dividersi, per accasarsi finalmente secondo affinità, un
sacco di forze: a sinistra come a destra, soprattutto la Lega e il Ppi, forse anche Forza Italia. A
ciascuno il suo e vinca il migliore.
A noi sembra un’illusione più che una garanzia. A questo vicolo tortuoso, esposto agli agguati di un
Parlamento inevitabilmente radicalizzato, sarebbe di gran lunga preferibile la strada maestra
dell’Assemblea Costituente. Cioè il bis del 1946, momento fondante e alto della Repubblica.
Eletta dal popolo, l’Assemblea avrebbe il compito di rifare la Costituzione in senso federale,
armonizzando per legge tutte le parti legate alla nuova forma di Stato. Con governo e Parlamento
dedicati nel frattempo all’economia, la Costituente darebbe all’Italia una svolta storica senza i rischi
della mischia che sta sotto i nostri occhi. Il voto politico la suggellerebbe.
Le regole sono troppo importanti per riservarle a un qualunque governo. Ma, forse, più che alle
regole in troppi puntano alle vendette incrociate.