1994 luglio 3 I nuovi narcisi
1994 luglio 3 – I nuovi narcisi
Manicomio Italia. C’è bisogno di governo e si parla soltanto di informazione. Le notizie sono
diventate più importanti dei fatti, e chi fa le notizie addirittura più importante sia dei fatti che delle
notizie.
Sembriamo un Paese virtuale, abitato non da studenti e operai, da casalinghe e commercianti, da
imprenditori e professionisti, ma da editori e giornalisti. Una cosa tutta tra di noi, convinti che la
vera sovranità popolare appartenga a giornali e televisione.
Non si è mai visto al mondo un tale spettacolo di narcisismo informativo. I direttori poi, oh i
direttori, si credono i padroni d’Italia, istruttori, pedagoghi, incantatori e forgiatori di destini.
Eppure i dati non sono esaltanti. Le tivù, pubblica e privata, si assomigliano ogni giorno di più con
una marmellata di spot che assorbe più del 50% della pubblicità del nostro Paese. Dal 1990 ad oggi
i quotidiani hanno perso 300 mila copie, con una vendita media ora di sole 115 copie ogni mille
abitanti, tra le più modeste al mondo. Ma tant’è, alla Rai, alla Fininvest e nei giornali si ragiona
quasi sempre in termini di potere, anzi di crescente potere.
Un potere d’informare ammorbato dalla patacca. Ha detto Enzo Biagi intervistato dalla voce: “ Si
guarda più alla maglia che indossi che alle idee che porti”.
A nessuno importa che tu stia dalla parte dell’informazione; nel Palazzo esigono di sapere con chi ti
schieri politicamente. Sicché la coerenza va misurata sui referenti, non sui lettori o sui telespettatori.
Invece di liberarsi, l’informazione si accasa, come ai tempi della peggior Rai, dei giornali di Stato o
una mano alle banche democristiane. Oggi che i giornali organo di partito sono praticamente
defunti, divampa l’informazione – partito, un incendio di faziosità che a torto ci si era illusi di aver
spento con la rovina delle ideologie.
Campione del liberismo, Berlusconi è in realtà monopolista televisivo. Tra Berlusconi e Agnelli, la
somma editoriale è impressionante. Altro che anti-trust: potendo, concentrerebbero ancora.
Anche Bossi vuole il “suo” quotidiano. Visto che così fan tutti, lo si può capire. Ma dovrebbe
ricordare che proprio la protesta della Lega Nord diventò fenomeno di massa senza telegiornali né
pubblici né privati e con rarissimi quotidiani ( tra i quali, detto per inciso, il nostro) attenti al nuovo
movimento. I referendum radicali sul divorzio e l’aborto passarono avendo contro l’80%
dell’informazione. Lo stesso Segni sbaraccò con il suo referendum l’informazione di regime, a
cominciare dalla Rai.
Il fatto è che non siamo più un popolo stanziale. Milioni di voti migrano finalmente in piena libertà,
senza bisogno di santoni a far l’andatura.
La rissa sull’informazione nasconde la credenza che il consenso popolare sia un giocattolo in mano
a dieci tra telebusti e direttori di quotidiani. Come dire che il popolo sarebbe bue e che i giornalisti
sarebbero merce all’ingrosso, arruolabile con uno schiocco di dita per guidare quel grosso bue di
finta democrazia.
No, non è così. Questo Paese è abbastanza scettico e alleato da sapersi difendere anche
dall’informazione di potere. Lo aiuta persino il telecomando, strumento di programmazione
personale, tanto che lo zapping è stato definito da uno studioso il David dell’utente che vince il
Golia del video.
L’informazione, ci mancherebbe, ha un ruolo vitale come sistema nervoso della democrazia. Rischia
di diventare il suo stress, se non addirittura la sua patologia, quando viene trattata o si considera alla
stregua di uno strumento a buon mercato.
E’ esattamente questo che sta accadendo. E poiché i male intenzionati sono in genere coloro che
sbraitano in scena, non ci sono commissioni di vigilanza o garanti che tengano: oggi più che mai,
l’unica garanzia viene dal cittadino.
Meno si fida, meglio è per tutti. La vita concreta, con i suoi problemi quotidiani e le sue immense
aspettative di governo, prima o poi presenterà i conti anche al mondo virtuale dei neo-Narcisi.