1995 novembre 4 Santoro, tempo irreale

1995 novembre 4 – Santoro, tempo irreale

Mi dicono che, per preparare il filmato andato in onda l’altra sera da “Tempo reale”, una troupe
televisiva sia rimasta nel Veneto una settimana piena. Deve aver lavorato notte e giorno, molto sodo
e con grande abilità, dal momento che è riuscita a realizzare uno scoop mondiale, da premio Pulitzer
del giornalismo.

Nessune se n’era mai accorto, né gli osservatori stranieri né gli studiosi, ma il prototipo umano del
Nordest produttivo, così come risulta dalla trasmissione di Michele Santoro, avrebbe infatti queste
caratteristiche:

1) costruisce la casa con le proprie mani; 2) sa soltanto lavorare 3) negli infinitesimali ritagli di tempo
va a puttane.

Semplifico, ma così è. Farne un caso sarebbe un’esagerazione, prendere tutto sottogamba, un errore.
Santoro conosce bene il suo mestiere e la Rai è servizio pubblico: dunque, è più che lecito chiedersi
perché mai un problema molto serio sia stato presentato con toni caricaturali, da folklore anni ’50,
utilizzando la telecamera-verità proprio per allontanare la verità.

Verrebbe voglia di fare i maliziosi, immaginando strategie. Ma non ci voglio nemmeno pensare,
anche perché la dietrologia permanente è un cancro.

Sono propenso a credere che si tratti piuttosto di un ritardo di cultura. Roma non anticipa mai nulla,
spesso arriva a cose fatte o a tempo scaduto: agli occhi di questa sottocultura, oggi il Nordest
rappresenta una seccatura, un territorio di rozzi padroncini, un luogo di brava gente che con una pacca
sulla spalla e qualche sfottò rientra alla svelta nei ranghi. Come la servetta o il carabiniere dei vecchi,
cari film della commedia all’italiana.

Non gradiscono che gli imprenditori del Nordest chiedano riforme e servizi; che i sindaci si ribellino
alla burocrazia; che l’opinione pubblica punti sul federalismo per salvare lo Stato dal suo dissesto
finale. Preferiscono un Nordest pasta e fagioli, ruspante e colorito, ma pigro, conformista,
menefreghista e sgobbone. Del Nordest piace la caricatura perché politicamente comoda, ora et labora
senza mai influire su nulla.

Ma, forse, stavolta non finirà così.