1995 ottobre 9 Caro Scalfari, non è il Nordest a tradire Cavour
1995 ottobre 9 – Caro Scalfari, non è il Nordest a tradire Cavour
Sabato il “Corriere della Sera”, ieri “La Repubblica”; oggetto il Nordest. Nell’articolo di fondo (“Il
male oscuro degli industriali”), Eugenio Scalfari liquida senza perifrasi il sud Italia, i suoi
imprenditori ed i suoi esponenti politici: “classe dirigente coloniale e colonizzata – scrive Scalfari –
mercato coloniale, manodopera coloniale: così è sempre stato e così continuerà ad essere se una
pagina non sarà voltata; ma non pare che sia questa la prospettiva probabile… Mai come oggi il Sud
è stato lontano dal Nord e dall’Europa”.
Sottoscrivo fino all’ultima sillaba. Sennonchè, rivolgendosi poi al “Nordest che ha preso il galoppo”,
il direttore di “Repubblica” riproduce lo schema utilizzato il giorno prima dal “Corriere”: Nordest
che se ne vorrebbe andare per conto proprio all’insegna dell’ “abbasso Cavour e Garibaldi e viva
Maria Teresa d’Austria”, forte certamente della propria laboriosità e capacità imprenditoriale ma a
lungo favorito anche da un “fisco che ha tollerato per trent’anni il cosiddetto sommerso” e “dalla
svalutazione della moneta nazionale”.
In parole povere, questo Nordest anarchico (!) dovrebbe ringraziare lo Stato e il marco. La sua forza
sarebbe dovuta all’evasione fiscale e alla droga monetaria.
Se così fosse, e visto che fisco e marco valgono per tutti, dal Brennero a Pantelleria, bisognerebbe
almeno spiegare in base a quale miracolo il Nordest ne abbia tratto profitto più di altri. A tal punto
che quattro giorni fa a Londra, si è fatta la previsione che quest’area sia destinata a primeggiare in
Europa almeno da qui al Duemila. Avete capito bene: il Nordest primo in Europa.
Il lato debole di certe analisi sul Nordest è probabilmente la scarsa conoscenza del suo territorio, delle
sue culture, della sua economia.
Niente metropoli ma un’area metropolitana diffusa, una rete senza centro, geneticamente refrattaria
al centralismo burocratico, ovunque si manifesti, a Roma o in Regione, a Venezia quanto Trieste o
Trento.
Il Nordest si esalta nel confine, non vuole scappare da nessuna parte, tanto meno alle sue
responsabilità di area forte. Il nostro giornale chiama l’Alto Adige anche Sud Tirolo senza turbe
patriottiche; in Friuli Venezia Giulia vivono centomila sloveni con passaporto italiano. Il più bel
europeista è stato un trentino, De Gasperi. A Vicenza lavorano regolarmente, a contratto e accasati,
ventunomila extracomunitari. Anche lo scambio interno Sud-Nord è profondo e fecondo: a Padova la
sola famiglia calabrese conta cinquemila persone, oltre mille i pugliesi.
Questo per dire soltanto che il Nordest sta già da tempo in Europa, sente l’est, odia Roma ladrona ma
non è tentato dall’antimeridionalismo se non per denunciare il vizio statalistico e protezionistico.
Sabato scorso a Strasburgo, nel bollare la pochezza dell’amministrazione centrale italiana, il professor
Sabino Cassese – ex ministro della funzione pubblica nel governo Ciampi – ha citato tra gli altri un
dato emblematico: due terzi dei dirigenti del settore pubblico provengono dal Centro-Sud d’Italia ,
con quale squilibrio nel territorio è facile immaginare. Anche questo non va giù al Nordest.
Caro Scalfari, se il Sud non è mai stato così lontano dall’Europa e il Nordest mai così vicino, ha o no
questa area il diritto-dovere di porre all’intero Paese, in termini durissimi quanto costruttivi, il
problema dei problemi, l’unica questione seria, pre-politica perché vale prima e più della politica, e
cioè la riforma radicale di uno Stato gestito da un ceto sul quale tu stesso hai martellato fin dalla
nascita della tua “Repubblica”? Chi tradisce oggi Cavour e Garibaldi per Maria Teresa, quel sud che
proprio tu defìnisci “coloniale” o il Nordest che tenta con i suoi sindaci, i suoi imprenditori, i suoi
giovani, i suoi movimenti autonomisti, i suoi artigiani, i suoi commercianti, il suo federalismo di
massa e trasversale a tutti gli schieramenti, di scuotere un Paese drogato dalla telepolitica, vittima
della truffa del secolo secondo la quale il futuro dipenderà non dalle riforme ma dalle virtù personali
– ahinoi! – dei Berlusconi e D’Alema?
Non vorrei che la protesta spaventasse perché si pretende dal Nordest la disciplina verso i poteri di
sempre. A cominciare da quel capitalismo di club che impoverisce la Borsa, monopolizza la finanza,
manovra le banche, concentra a man bassa, strumentalizza persino la Confindustria. Ad occhio e
croce il Nordest non ci sta più: se questa è anarchia, anarchico lo è già. Sono altri che debbono voltar
pagina, e alla svelta.