1996 maggio 26 Una fame tutta nuova
1996 maggio 26 – Una fame tutta nuova
Una grande banca ha chiamato le università del Nordest e le ha fatte lavorare sodo per misurare la salute
dell’area economicamente più festeggiata e più interessante d’Europa. I ricercatori sono una razza a
sangue freddo come i serpenti, hanno la mania dei numeri, detestano i cin cin, per fortuna diffidano di
tutto. A volte, anche di se stessi. Vivisezionando il Nordest 1996, hanno steso un rapporto che mette in
vetrina soprattutto i rischi, le insidie, le lacune, i ritardi, le fragilità, le incognite. È questo il segnale della
forza del Nordest: quando un’area riesce a guardarsi dentro senza pietà anche se passa per «locomotiva»
di un Paese industrializzato, vuol dire che sta producendo cultura, strategia, valore aggiunto. Finalmente,
alleluja! Il sindaco di Trieste, non a caso imprenditore e insieme amministratore pubblico, ricorda ad
ogni occasione che l’economia sta integrando a marce forzate il Nordest – e lo obbliga a farsi «sistema»
– anche se qualche provincialotto si balocca nel proprio orticello scambiando le radici per ceppi ai piedi.
Il Nordest c’è, lo si vede a occhio nudo: «Che un’azienda da 400 miliardi di fatturato esporti molto, è
naturale – ha fatto notare l’industriale Pittini – ma che una di 7 ne esporti 5, questo è il miracolo». Eppure
il Nordest ha fame, tanta. Non la vecchia fame che, secondo un’indagine svolta dal prof. De Rita 40 anni
fa, aveva fatto scappare da est verso ovest più gente di quanta non salisse a caccia di lavoro dal sud
d’Italia al nord. Ora è fame di ceto dirigente, di rappresentanza, di peso specifico. Fame di
amministrazione, di servizi, di investimenti. Fame di Stato federale, che rovesci dall’alto in basso il
fondamento dei poteri. Fame di infrastrutture, di «pubblico», non clientelare: «Basta – ha scandito
Massimo Carraro – imprenditori amici degli amici, che si facevano gli affari a cena o nei salotti o nelle
segreterie di partito». Nel giro di poche ore, ho ascoltato i sindaci a Trento, ricercatori, industriali e
banchieri a Vicenza. Lo stesso linguaggio, la stessa urgenza di governare il futuro, qui, da subito, facendo
rete, progetto, massa, il contrario della sindrome da isolamento, anzi il luogo per eccellenza di una certa
idea di Italia. Solo se lavora per l’Italia, il Nordest innoverà se stesso e resterà primo. O ce la facciamo
ora o mai. E il Nordest diventerebbe l’area della Grande Disillusione, per niente mitigata dai fatturati,
destinati a declinare con essa. Il Rapporto ‘96 segnala né trionfalismo né subalternità: uno spazio aperto,
senza zavorre, a sostegno di una nostra ferma convinzione. Che la prima delle infrastrutture sia
l’Istituzione pubblica, la sua qualità, e che dunque la battaglia per la riforma dello Stato di burocrazia
non sia per nulla neutra rispetto al lavoro, alla produzione, al benessere per tutti, all’economia sociale di
mercato dove quel «sociale» indica l’ideale degli ideali liberali: il temperamento dei meri automatismi
di mercato. Ai sindaci quanto agli imprenditori consiglio di avere il coraggio di allearsi, di fare patto, di
produrre ceto dirigente sintetizzando gli obbiettivi comuni. È vero, oramai sappiamo tutto, non dobbiamo
più dirci nulla. Si passi alla fase esecutiva e, se serve, mettiamola giù dura.
26 maggio 1996