1996 Marzo 31 La sua grande rivincita
1996 Marzo 31 – La sua grande rivincita
Antonio Di Pietro ha risolto i suoi problemi economici. Figlio di un’Italia marginale e contadina, ex-
poliziotto con gli stipendi da fame del poliziotto, ex-pubblico ministero che spogliò di reputazione
anche i grandi potentati economici, Di Pietro non avrà più bisogno di chiedere 100 milioni a prestito
per la casa o di recuperare da un ufficio sinistri una Mercedes da 20 milioni, dopo aver fuso la sua
vettura in autostrada. Ora potrà contare su una lunga serie di risarcimenti materiali.
Pochi giorni fa, sul settimanale “Oggi”, aveva scritto: “Ho in corso un centinaio di processi in cui
figuro come parte lesa delle varie diffamazioni che mi sono state vomitate addosso in quest’anno di
calvario. Già alcuni sono in dirittura d’arrivo: per Liguori è già stato disposto il rinvio a giudizio,
per Feltri e compagnia sono in corso diverse analoghe richieste. Lo stesso per parlamentari di
grido . E già alcuni dei querelanti che in pubblico fanno la voce grossa, in privato invece mandano i
loro emissari a trattare”.
Dopo aver servito lo Stato – l’idea dello Stato, non questo Stato – a caccia dei suoi predatori
pubblici, che almeno la calunnia altrui gli valga un po’ di denaro. In fondo, è l’unico tipo di
risarcimento che deve pretendere visto che, da Craxi a Previti, nessun dossier, nessuna manovra,
erano riusciti a rovinargli la reputazione. La stragrande maggioranza degli italiani aveva già capito
tutto fin dall’inizio.
Ma cento giorni fa, di fronte alle tre inchieste del dottor Salamone, non era facile tirarsi fuori dal
club dei frullatori di fango per continuare a puntare tutto sull’ex pm di Mani Pulite, sulla sua
correttezza, sul credito di legalità che di colpo aveva seminato, soprattutto tra i giovani, in un Paese
che da vent’anni predicava l’etica (nei convegni) e praticava la corruzione (in politica). Vale la pena
oggi, subito, di ricordare chi rischiò la propria sulla reputazione di Di Pietro.
Apparve in tv, Prodi: “Gli italiani sanno distinguere le brave persone dai lazzaroni”. Scrisse
Montanelli: “ Restiamo convinti che Di Pietro è un galantuomo”. Cacciari parlò e firmò, sua la
prima firma di un manifesto di totale fiducia in Di Pietro.
Al tripudio Berlusconiano ( Giuliano Ferrara: “ Di Pietro è finito”) si ribellarono Mirko Tremaglia e
Buttiglione. “Lo stimo come prima”, disse il filosofo, e il più indipendente tra gli esponenti di An
denunciò gli avvoltoi del vecchio e nuovo sistema.
Rarissime voci rifiutarono il tiro al piccione su vasta scala, sporcare Di Pietro per fermare Mani
Pulite. Liquidare Di Pietro a sostegno della tesi secondo la quale, se tutti sono ricattabili, dunque
uguali, la parola torni ai più abili, ai più furbacchioni, ai più facoltosi, ai più introdotti, a quelli che
ci sanno fare. Insomma, a quelli di sempre, unti dal Potere.
Ci fu chi perse l’occasione per tacere: Bossi, che parlò di “figuraccia di Di Pietro”. Ma chi lo ha
visto l’altra sera in tv, si sarà reso conto che un grande movimento come la Lega Nord ha un non
piccolo problema: proprio Bossi.
Qualche lettore forse si chiederà perché, più che commentare il proscioglimento di Di Pietro,
abbiamo preferito ricordare.
Semplice: il nostro giornale non ha mollato di un solo millimetro, né su Mani Pulite né su Di Pietro,
mai. A volte la solitudine costa, ma regala inesprimibili soddisfazioni.
Fa bene ricordare.