2001 Gennaio-Luglio Campioni e beoti di un calcio povero di uomini

2001 Gennaio – Luglio – Campioni e beoti di un calcio povero di uomini

Ho voglia di scrivere un articolo buonista che comincio nominando sul campo il mio personalissimo
Pallone d’oro di Natale. Macchè Figo, macchè Zidane: si tratta di Damiano Tommasi, 26 anni,
centrocampista di Roma capoccia, che a momenti stende la Juve da solo mentre tutti s’aspettavano i
soliti Batistuta & Totti. Veronese di Negrar, Tommasi parla poco e corre molto, “alla veneta” come
si diceva una volta nel Veneto contadino.

E’ bravo ed è anche un bel tipo come uomo, genere questo di cui il calcio si mostra oggi avaro.

Legge i libri di Hermann Hesse, lo scrittore tedesco che propone spiritualità contro la crisi dei vecchi
valori. Ama la musica di Bob Marley, che allude al paradiso attraverso il reggae. Fa volontariato, è
generoso, si fa pagare dallo sponsor in scarpe e tute per donarle, ed è un protagonista del fair play, in
campo e fuori.

Il bello è che, senza l’infortunio al brasiliano Emerson, uno come Tommasi svernerebbe in panchina,
con il suo ritmo e i suoi pensieri.

Una volta i calciatori italiani facevano come Mao in Cina durante la leggendaria lunga marcia verso
Pechino: si partiva dalla campagna per conquistare le città. Adesso i grandi club sono praticamente
riservati agli stranieri e dunque i buoni giocatori italiani tornano alla provincia: a Bergamo o a
Perugia, a Udine, a Vicenza o a Cittadella, a Chievo o a Venezia. E’ il controesodo.

E’ doppiamente bello che Tommasi, titolare fisso per caso, si sia dimostrato il solo grande di una
“partitissima”, Roma Juve, più diminutiva che superlativa. Non per nulla, l’avvocato Sergio
Campana, da trent’anni alla guida dei calciatori, considera Tommasi uno dei quattro prototipi di
campione da imitare: lui, Albertini, Ronaldo e Schevcenko.

Albertini non vuol sentire bestemmie in campo e sta impegnandosi in una campagna di stile; Ronaldo
resta pedagogico nella buona come nella cattiva sorte; Schevcenko tutto casa e famiglia (“non ho
ancora trovato la ragazza giusta”, ha confidato a Campana), si è offerto nel sindacato, dove le stelle
fisse degli stadi convivono con i lumini.

Ahinoi, il calcio è ricchissimo di nomi, ricco di campioni, povero di personaggi, poverissimo di
uomini. Ieri, per far pensare tutti sul tema della violenza, tra una molotov contro una squadra (l’Inter)
e una bomba contro un giornale (Manifesto) i calciatori sono entrati in campo in ritardo, ma temo che
sia servito a poco, forse a nulla, anche perché – diciamolo – abbiamo tra il pubblico gente da
vergognarsi.

Ho visto ad esempio in diretta che a Bergamo è stato impossibile far ascoltare il breve messaggio
letto dai capitani di Atalanta e Inter a centrocampo. Tra cori e urla di beoti, neanche quei dieci secondi
di riflessione hanno trovato ospitalità. Che roba.

Però Campana fa bene a insistere contro la “storica maleducazione italica”, come la bollava Gianni
Brera. Durante l’intera sua carriera, Campana ha rimediato una sola ammonizione in tutto!
Figuriamoci se uno come lui, che il mitico Angelo Moratti non volle portare all’Inter perché troppo
“intellettuale”, può arrendersi alla diffusa balordaggine degli stadi.

Semmai, aggiungerei una raccomandazione all’avvocato-sindacalista di Bassano del Grappa: faccia
qualche cosa anche contro i simulatori, che sono in ripugnante aumento tra i suoi iscritti.

Non se ne può più, soprattutto quando sono i campioni a fare i furbetti da quattro soldi: ho visto Cafu
e Totti inventarsi colpi e tonfi degni delle migliori controfigure di Hollywood. E il portiere del Lecce,
un marcantonio da berretti Verdi, stendersi sull’erba come una Carla Fracci soltanto perché toccato
da una mezza manata, un buffetto in faccia più che altro, di Filippo Galli che l’arbitro ha
ingenuamente espulso a Brescia. La simulazione è una truffa bella e buona, o no?

Ah, quasi dimenticavo che tra sabato e ieri sono capitate un sacco di cose importanti. La Roma non
fa la stupida, anzi è tosta; la Juve è la pietra di paragone del campionato; le “sorprese”, come Atalanta
e Bologna, tornano alla normalità ma con onore. Avendo smesso di specchiarsi, L’Udinese ha ripreso
a vincere e vincerà ancora molto.

Il colpo di scena di fine 2000 si chiama Inter: signori, ha vinto, e questa è una notizia inaspettata
anche se, per un vero interista, la vittoria della beneamata dà sempre minore soddisfazione della
sconfitta del Milan.

Va bene il buonismo di Natale, ma non esageriamo con i convenevoli.

Cin cin.