2001 Gennaio 9 Oh Venezia!

2001 Gennaio 9 – Oh Venezia!

Chi misura le acque alte, mette i numeri in fila e conclude che va sempre peggio sia per frequenza
che per livelli di marea. Che la terra scenda di 13 centimetri al secolo o che il livello del mare faccia
tutto da solo, è un dilemma che entusiasma soltanto gli esperti in idraulica. Noi no.

L’allarme, che le riprese televisive in technicolor certificano fascinosamente, è stagionale, un punto
fermo soprattutto negli ultimi dieci anni. Arrigo Cipriani, il più arguto tra i bastian contrari, una volta
paragonò l’acqua alta in laguna alla neve in montagna: un lascito della natura, se non proprio un dono
di Dio.

Bisogna riconoscerlo a ciglio asciutto; Venezia è straordinaria nel consumare piano piano le sue
paure, come pietre usurate. Si compiace di perdonarsi sempre e tutte nel nome della sua Bellezza che
lord Byron scriveva con al maiuscola.

“Fatalità” fataità, è del reto il più comune intercalare dei veneziani, quasi una punteggiatura del
destino nel vivere d’ogni giorno, sempre un po’ anfibio, di mare e di terra. “Fataità”, dall’acqua granda
del 1966 è trascorso un buon terzo di secolo quasi senza batter ciglio.

Deve venire da molto lontano questa convivenza dello straordinario nell’ordinario. Il prof. Piero
Bevilacqua ha ricordato in un saggio che, appena una quarantina di giorni dopo la caduta della
Repubblica del Leone, un’ordinanza intimava a tutti i bottegai di esporre sulla pubblica strada “una
mastella di acqua dolce e netta” per dissetare i poveri cani insidiati dalla rabbia.

Anche il tempo ha un’onda speciale a Venezia, che mette a disagio soltanto i foresti. Con la sua
risacca, i veneziani sembrano convivere benissimo, come s’addice ad ogni sublime decadenza.

Pochi anni fa, Alvise Zorzi consigliò di andar per “remote osterie” a chi desiderava ritrovare quel po’
di civiltà veneziana non ancora rassegnata a scomparire del tutto. Giuro che aveva e ha poeticamente
ragione, anche se queste acque alte senza pausa richiederebbero cantieri meno remoti.

Ho detto cantieri, precisamente. Un Arsenale di intelligenza e di opere che non deve, fra l’altro,
inventarsi un bel nulla: soltanto garantire il passato attraverso la scienza del presente.

Fatalità, qui ti voglio.