2001 Marzo 18 La tv di Erto
2001 Marzo 18 – La tv di Erto
Quarant’anni fa era un comune di duemila abitanti circa; adesso, Erto e Casso fanno un piccolo paese
di 435 abitanti, quasi tutti a Erto. Qui, a occidente, finisce il Friuli pordenonese risalendo la Val
Cellina che lo scrittore Claudio Magris, originario di Montereale, chiama “orrida e tenera”. L’acqua
che vi scorre è un infuso di smeraldi.
Il confine con il Veneto passa a quattro chilometri appena da Erto, a metà delle gallerie della diga del
Vajont. Lassù l’ultimo Friuli: là in baso, oltre la diga il Piave, Longarone e Castellavazzo, il Veneto.
Il confine tra Friuli e Veneto è una lapide di cemento armato grande esattamente come la diga del
Vajont. Quella notte del 1963, ha scritto Marco Paolini, c’era “un silenzio feroce”.
Il monte Toc precipitò a cento chilometri all’ora nel bacino e scagliò, oltre la diga, verso la povera
Longarone, un’onda inimmaginabile, che soltanto un film proverà presto a immaginare con la
tecnologia. Ai piedi del Toc, nella valle, un treno d’acqua alto decine di metri risparmiò Casso, quasi
salvò Erto ma, più in basso, spianò le frazioni: 158 i morti, tanti mai ritrovati, e altra gente non del
luogo che lavorava alla diga.
Tranne pochi, i sopravvissuti se ne andarono profughi; in provincia di Belluno, nacque anche una
Nuova Erto. La vecchia Erto che durante la costruzione della diga aveva trovato lavoro e benessere,
piombò per sempre in una nostalgia senza consolazione.
Come privato dei colori della natura diventò un paese in bianco e nero. Quello delle fotografie di Bepi
Zanfron, le strade erte, le case in pietra, gli uomini con la pipa, la rievocazione del venerdì santo, le
casère, l’artigianato dei mestoli e dei cucchiai di faggio, le donne, straordinarie donne che con la gerla
si caricavano sulle spalle la legna, la famiglia, la vita, le fatiche e i silenzi. Forse una memoria piena
di presagi.
Questo mondo noi lo conosciamo anche attraverso i libri di Mauro Corona, che era ragazzino ai tempi
del Vajont. Lasciò Erto, per tornarvi quattro anni dopo: la voglia di casa era più terribile dell’angoscia.
Le sue pagine sono come le sue sculture in legno, Fanno parlare il bosco, volare la martora, cantare
il cuculo; raccontano tradizioni, dolori duri come l’acacia, soprattutto la natura, una natura di roccia;
alberi e animali che sembrano “persone”. Com’era verde la mia valle, a Erto.
Oggi, la piccola Erto ha un piccolo problema: non riesce a vedere i telegiornali regionali della Rai.
Né quello friulano né quello veneto; i 120 abbonati che pagano regolarmente il canone sono da circa
un anno costretti a vedere il telegiornale regionale del Lazio!
Ho detto Lazio, non sto scherzando, e provo a sintetizzare perché Lazio; anche se vi risparmio i
complicatissimi dettagli tecnici. La Rai del Friuli Venezia Giulia copre il 97 per cento del suo
territorio regionale: nel 3 per cento scoperto c’è Erto, sfavorita dalla montagna. Il suo Tg regionale,
Erto non l’ha mai visto.
Fino all’anno scorso, attraverso un ripetitore privato di Longarone, Erto prendeva almeno il Tg3 del
Veneto. Un Tg fratello, per gente sul confine che nella conca di Erto, dicono i linguisti, parla il
“venetico”.
Basta. Il Tg3 friulano non s’è mai visto, quello veneto è stato spento. La Rete 3 ha acceso il satellite
ma il satellite invia soltanto il segnale di Roma: dunque, i 435 abitanti di Erto, con 120 abbonamenti
Rai, si sorbiscono il Tg regionale del Lazio.
Sembra una barzelletta. I telespettatori di Erto sanno tutto sul raccordo anulare di Roma ma niente
sulla A-28 tra Sacile Conegliano.
A Trieste, Rai, regione cercano una soluzione ma, ben che vada, non arriverà prima di due annetti.
Nel frattempo, mi domando, vogliamo per favore oscurare il Lazio e ridare a Erto perlomeno il Tg3
del Veneto, a un tiro di schioppo? Presumo che gli ertani lo vogliano; se anche la Rai lo vuole, si può
fare in una settimana.
A gente con il pelo globale sullo stomaco, quella di Erto sembrerà una storia minima, di nessun conto,
marginale come dicono i sociologi. Sarà; a me fa l’effetto contrario, anche se a Erto non si vive certo
di telegiornali.
Ci sono luoghi umani che producono soprattutto ricordo, da pronunciare con la mente, a labbra chiuse.
Garantire a un paesino come questo un tg di casa (friulano) o familiare (veneto), sarebbe una
delicatezza dovuta a Erto, anche se costasse soldi. Sarebbe un tocco di riguardo, un pensiero intagliato
nel legno.
Il mio beneamato Nordest non sarà tutto new economy, spero.