2002 Asolo
2002 – Asolo
Da quasi mezzo secolo si racconta la risposta data da uno spassoso trattore a un cliente che gli
aveva domandato che cosa ci fosse di bello da vedere a Castelfranco:” Intanto, Asolo…” spiegò
senza esitazione e senza ironia. Ripenso sempre a questo aneddoto per dire che Asolo è da sempre
un toponimo a sé, un qualcosa di ulteriore, il posto delle fragole di una certa civiltà veneta
miracolosamente sotto vuoto spinto. Intanto Asolo, appunto.
Appena si sale cinquanta metri dalla pianura trevisana, è chiaro che sta capitando qualcosa, che si fa
incontro una città in miniatura per dimensioni e retrodatata per eleganza. Ancora prima di lasciarsi
guardare, Asolo comincia sempre con il far pensare , tanto che le stesse emozioni vi assomigliano a
lucidi pensieri: il Bello che spinge a ragionare sulle cose quotidiane rappresenta anche il massimo
dell’Utile, io credo. Esiste Asolo e c’è un’idea di Asolo ma qui , come del resto càpita all’ennesima
potenza a Venezia,il luogo e la sua suggestione coincidono alla perfezione e sanno parlare assieme.
Asolo non è una cartolina profumata, ma la cronaca di un lungo salvataggio culturale.
Anzi, più passano gli anni più questa collina diventa indispensabile per noi che siamo immersi fino
al collo nella modernità. Asolo aiuta a conservare, provando a difendere oggi qualcosa del tempo di
ieri. Non è un luogo senza tempo il suo; solo che ha imparato a dominarne la furia e, a volte, a
coglierlo in contro tempo. E’ una città d’epoca che , a cominciare dai suoi cartelli di strada, mostra
subito l’innata familiarità con i termini “antico”e “antichità”, tutto ciò che rimanda a memoria.
Eppure è il contrario del sito monumentale, da visita silente, con tanto di percorsi a tappe e a soste.
Asolo vive la sua felicità antiquaria tra un parcheggio e un semaforo, tra una hostaria e una bottega,
tra un mercatino e una gita di gruppo, tra musica e artigianato, tra un lessico d’autore e gli affari
quotidiani. Non ha fermato le cose, e come potrebbe?, ma ce l’ha infine fatta a obbligarle a sostare
secondo i suoi bioritmi e il suo stile. Ho notato una banca che si è data un’architettura da
sottoportico ligneo più che da sportello plastificato, e a me questo appare già un minuscolo e
miracoloso dettaglio in un Veneto spesso sconciato per ignavia .
Qualcuno ha attribuito ad Asolo cento orizzonti. E’ verissimo; un posto di scorci, di cantucci, di
prospettive celate. Di sorprese, aggiungerei da parte mia, perché si svela di colpo, si mostra
all’improvviso senza lasciare che lo sguardo dorma di itinerari: basta un passo, uno solo; basta una
sola occhiata obliqua perché si spalanchi la visuale più inaspettata, magari la valle dietro l’angolo
più striminzito.
Il cuore di Asolo è la misura. La misura come legittima difesa contro gli infarti dell’attualità.
Ovunque vi si metta piede, la piccola Asolo è piena di grande storia e soprattutto, di amore che
quella storia ha via via contribuito a valorizzare. Giuseppe Cipriani dimostrò, ad esempio, come di
una villa si può fare una fabbrica della qualità del vivere. E Giuseppe Mazzotti spese tutta la sua
vita a insegnare una nuovissima nozione di business in base alla quale le ville venete, prese a
simbolo di un intero habitat da mantenere con le unghie e con i denti, “sono” sviluppo, anzi il solo
tipo di sviluppo in grado di garantire senso , dignità, futuro al benemerito capitalismo dell’uomo
qualunque, ai portenti dell’economia familiare, all’export del lavoro e delle fatiche. Anche gli
inglesi hanno contribuito a chiarire come questo amore è l’esatto contrario del costo economico
,dell’ intralcio sociale o, meno che meno, del passatismo intellettuale. Amandola a prima vista, gli
inglesi hanno suggerito ad Asolo l’idea che la bellezza sia un patrimonio del mondo, a dispetto di
ogni solitudine. Così gli americani, che trovano l’Herald Tribune in camera ma alla finestra una
natura da pittori rinascimentali.
Asolo è aristocratica, e chiunque la scopra dimostra di avere sempre una buona ragione
aristocratica nello spiegare la sua voglia di abitarvi. Gustavo Selva, politico mezzo romagnolo e
mezzo ravennate che poté godere della iniziazione estetica di Bepi Mazzotti, vi ha preso casa da una
decina d’anni perché – parole sue –“ sono sicuro di trovare ad Asolo gli stessi colori di Giorgione.”
Che bella Asolo. Negli anni, tra vecchie sordità e conflitti di interessi, il gusto d’élite si é convertito
piano piano in comune sentire, in sentimento diffuso di appartenenza allo stesso paesaggio. Diceva
uno scrittore siciliano, Elio Vittorini:”La gente è contenta nelle città che sono belle.” Ad Asolo,
forse per contagio tra colli gioiosi et amorosi panorami, tra dintorni e foresti, terrazze e fiori,quanti
fiori, ulivi e ciliegi, rocca , castello e ville, monfumi di quiete, stupori e vedute, prosecchi di levità,
refoli di Grappa e polline palladiano da Maser,ondulate malinconie del tramonto e, all’alba, il sole
asolano rotondo come l’imperturbabile giro della vita. Asolo è un mondo di tanti materiali e
riferimenti, dove niente risulta troppo grande e niente trascurabilmente piccolo.
Qualcuno osserverà che si tratta di romanticheria da agenzia di viaggi. Se lo è, lo sia senza
complessi turistici dato che Asolo è davvero romantica , senza finzioni: in fondo, sembra un posto
sempre pronto a sposarti e a lanciare confetti, anche se accompagnati più da Vivaldi che dalla
Marcia nuziale. Ho sempre pensato, senza documentarmi, che la stessa Eleonora Duse l’avesse
scelto proprio perché rifugio tutt’altro che teatrale.Qui domina l’atmosfera, non la scena.
Ecco, non so mai fino a che punto sia davvero possibile ricreare l’atmosfera di un luogo fermando
con la parola o con la scrittura il suo invisibile respiro. In ogni caso, per riuscirci bene, è
indispensabile almeno un lungo, tenace appostamento, come di chi va a caccia in valle quasi
trattenendo il fiato per non allarmare l’habitat. Ed è particolarmente difficile raccontare i tanti
silenzi di Asolo, da quello arcano del Foresto vecchio a quello elegiaco in faccia alla villa degli
Armeni, oppure il fruscio delle sue sete dalle mille tinture in tissoria o la disadorna solennità del
forno a legna che, accanto al municipio, fa il pane da 600 anni: il giorno in cui la padrona mi aiutò
con una torcia elettrica a sbirciare dentro, in fondo in fondo a quella sorta di bocca nera di calore e
di divina provvidenza, mi sembrò di respirare il profumo intatto della notte dei tempi.
Se i paesaggi dello spirito sono una faccenda di pelle, di amore e eros, fotografare il loro spleen
come la loro solarità deve essere ancora più difficile che descriverli. Fotografare è capire con
l’occhio e la mente; senza comprensione, né si inquadra né si riproduce; sarebbe come parlare senza
voce, scrivere su un computer spento, imbucare una lettera senza destinatario. Voglio soltanto dire
che la fotografia mostra ciò che si vede a prima vista e ciò che nemmeno si intravvede pur essendo
altrettanto veritiero.
In queste pagine, ho creduto di trovare Asolo e dunque , in contro luce, l’amore per “ il mondo di
Asolo”. Un mondo a sé ma mai così nostro: nostro come il pane sulla mensa.
Giorgio Lago